A Guide to All Creative Directors

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Nonostante il budget, "The Electric State" non soddisfa le aspettative

Il film con Millie Bobby Brown e Chris Pratt ha i mezzi ma non la fantasia

Nonostante il budget, The Electric State non soddisfa le aspettative Il film con Millie Bobby Brown e Chris Pratt ha i mezzi ma non la fantasia

Tratto dai libri e soprattutto dalle tavole di Simon Stålenhag, The Electric State è il secondo adattamento da uno dei lavori dello scrittore e artista svedese che ha unito al retrofuturismo l’idea di un immaginario dai colori e le atmosfere tenui e nebbiose, dove in mezzo alla foschia si stagliano i suoi giganteschi edifici, i suoi oggetti e i robot. L’orizzonte dei disegni del concept designer è continuamente avvolto da una patina fosca, che non permette all’occhio di spingersi oltre ma che lo conduce all’enormità spesso degli androidi che incorpora nel paesaggio. Questo senso di futuro sospeso, di un domani possibile condotto verso un’integrazione sempre maggiore tra uomo e tecnologia, dove la natura diventa la nuova casa dei titani di metallo e acciaio, ha saputo catturarlo - audiovisivamente parlando - Loop su Prime Video. Una serie che, pur dovendo sacrificare un po’ della poesia che Stålenhag dipinge nei suoi lavori, col libro illustrato Tales From the Loop da cui trae pubblicato nel 2014, ha provato a mantenere un’aura di mistero nelle sue immagini, a restituire la sensazione insieme di ricordo e di distacco che il domani dell’artista svedese vuole raccontare. Come qualcosa che conosciamo da sempre, ma non abbiamo visto mai. Vicinanza e continua dissociazione. I campi, la vegetazione, i casolari isolati e, di fianco, il futuro ipertecnologizzato.

Sebbene non si potesse sperare nel medesimo sentore di ignoto in The Electric State, la resa banalizzante e piatta dell’opera è in primis la cosa più distante possibile dall’idea di rappresentazione che si potesse sperare o pensare partendo dalle pagine di Simon Stålenhag. I motivi sono due. Il primo è la realizzazione del progetto affidata a Netflix che, nell’ultimo tempo, sta diluendo la propria sperimentazione visiva, riducendosi a una chiarezza e una messinscena spiattellata che non permette margini di illusione. La fantasticheria, l’invenzione, il sogno: tutto è immediato, rivelato, non c’è nulla da supporre o investigare. Ciò che viene mostrato è così e basta, riducendo il gusto della scoperta durante lo scorrere delle sequenze. La seconda ragione è l’affidamento della trasposizione cinematografica a Anthony e Joe Russo, nonostante abbiano ormai un loro stile. Dopo il boom dei film-evento Avengers: Infinity War e Endgame, dopo aver portato già a casa il successo dei due Captain America prima The Winter Soldier (2014) poi Civil War (2016), per il duo la discesa è stata ripida e fragorosa, come se avessero cercato di replicare l’unicità di ciò che è accaduto con la saga dell’infinito della Marvel ma si fossero arrovellati su se stessi.   

Con The Electric State il budget era fuori scala: secondo quanto riportato, arriverebbe a una cifra da capogiro di 320 milioni di dollari. Il fatto che l’accoglienza del film dopo la première al Grauman's Egyptian Theatre di Los Angeles sia stata tra le più ostiche, a fronte di un simile investimento affrontato da Netflix, dovrebbe portare il servizio streaming a riflettere - che poi a loro importi solo delle visualizzazioni è un altro conto. In un’epoca in cui agli Oscar 2025 hanno trionfato film a basso costo (da Anora a The Brutalist), i risultati di The Electric State dovrebbero evidenziare maggiormente il gap che l’industria dello spettacolo ha generato e da cui è bene che si riprenda, destinando fondi e sostegno a opere che abbiano realmente una propria visione non omologat. O che sappiano almeno come far fruttare tanti soldi, investiti nel film Netflix probabilmente per la gran quantità nei VFX che, effettivamente, svolgono almeno un lavoro degno. Con il restante destinato alle tasche di due star come Millie Bobby Brown e Chris Pratt, per un’opera che si ridimensiona a classico viaggio d’avventura in uno scenario che è inverosimile quanto siano riusciti a rendere anonimo, niente a che vedere con le suggestioni profonde che sono capaci di suscitare le creazioni di Simon Stålenhag. Tutto si riduce ad una spettacolarità condensata al minimo, a rapporti stilizzati, a una guerra tra mondi che si fondono dovendo per forza ricorrere alla battaglia. L’immaginazione è ridotta all’osso lì dove dovrebbe spingersi al di là dei confini, che rimangono invece troppo delineati in The Electric State, per un cinema che ha di sicuro i mezzi ma non la fantasia.