A Guide to All Creative Directors

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Cosa significa il meme dei “recession indicator”?

Quando il linguaggio della finanza contagia la cultura

Cosa significa il meme dei “recession indicator”? Quando il linguaggio della finanza contagia la cultura

Cercando su X la parola “recession indicator” non troverete informazioni economiche serie ma meme. La battuta, che prende in prestito l’espressione al gergo finanziario, viene usata per descrivere gesti delle celebrity, decisioni delle aziende o anche semplici trend culturali che fanno un po’ il verso ai veri indicatori di recessione come la famosa Lipstick Theory, l’Hemline Index e i dati statistici per cui un calo nella vendita di biancheria intima, champagne e tinte per capelli è il presagio di un prossimo collasso economico. Come si diceva, il pubblico dei social e il mondo dei meme hanno mescolato questa nozione ormai popolare con l’onnipresente celebrity culture trasformando in “recession indicators” gli eventi più disparati: Lady Gaga che produce nuova musica pop, l’aumento di copie usate e invendute di Infinite Jest, la nuova sigla di The White Lotus, il trend dei tatuaggi che spariscono come nel caso di Pete Davidson, il ritorno del normcore e delle modelle in bikini nelle pubblicità degli hamburger per il Super Bowl ma anche la “morte” del gufo di Duolingo, i vestiti sbrilluccicanti e via dicendo. Potremmo chiosare, insieme a un anonimo utente di Twitter, che «tutto è un indicatore di recessione se ci credi abbastanza» e ovviamente la diffusione della battuta rappresenta sia un riflesso dell’ansia collettiva su un potenziale e imminente crollo dell’economia che un’appropriazione, mediata dall’umorismo, del linguaggio finanziario che domina le nostre vite e molti dei nostri discorsi – qualcosa di simile sta succedendo con i meme sui “GDP Fans” che fa il verso al mindset neoliberista ma anche alle molte battute e tipizzazioni del “finance bro” e le prese in giro dell’ossessione per lo “shareholder value”.

Ora, la diffusione del meme non è solo la lunga onda di quella fondamentale paura di una crisi economica che perseguita il subconscio dei Millennial dal 2008 e su cui sono stati girati un gran numero di film in anni recenti (The Big Short, Margin Call, The Florida Project ma anche il primo Magic Mike per certi versi) ma anche una forma di humor sardonico che va cercando parallelismi storici e prova a interpretarli pessimisticamente come presagi. E che i grandi eventi macroeconomici possano riflettersi nella cultura pop è ormai un dato assodato: oltre ad aver cambiato i modelli di business di tutta l’industria, il crash dell’economia inaugurò una nuova era di sobrietà e di assenza di loghi e preparò il terreno al boom del fast fashion con Zara ed H&M che andarono alla conquista dell’Europa; la cultura indie-hipster non fu, in fondo, ciò che dell’Indie Sleaze era sopravvissuto alla crisi.

Anche oggi, di fatto, la risposta alla crisi innescata dal lockdown e forse non ancora pienamente risolta ha fatto spianato la strada a Shein e risorgere la cultura del thrifting e del secondhand, esplosa grazie allo scarto sempre maggiore tra i prezzi del mercato del lusso e quelli che si trovano nei negozi vintage. In aggiunta a ciò, la crescita del meme potrebbe servire anche come inconsapevole critica nei confronti di una cultura in cui si ricicla incessantemente il passato (soprattutto per motivi economici) e dunque in cui si cominciano a trovare ripetizioni, consonanze e “doppioni”. Di conseguenza il ritorno, poniamo, di Lady Gaga alla musica diventa scherzosamente un recession indicator perché i primi due album della cantante uscirono nell’apice del crack del 2008. Anche il ritorno di band o film del passato, così anche come di certi trend, può segnalare il ritorno di un passato culturale a cui, nel nostro immaginario, è annesso un passato economico. Ma la battuta viene anche applicata, a quanto sembra, per indicare che un certo artista, cantante o attore che sia, torna sulle scene dopo essersi ritirato perché gli servono soldi e dunque il loro ritorno indica scherzosamente il ritorno della crisi perché anche questi personaggi famosi si sono ritrovati in qualche modo a dover sbarcare il lunario.

La parte più interessante rimane però quando il “recession indicator” non è propriamente riferito a un certo artista ma a un certo trend che può essere in realtà qualunque cosa, dal ritorno in voga dei Martini Cocktail fino alla scomparsa delle romcom, dalla diffusione dei leggins al ritorno di popolarità di Tumblr; dagli outfit hip-hop Y2K di Timothée Chalamet alle sopracciglia iper-sottili. È chiaro che il criterio non può essere valido e che tutto il divertimento del meme sta nell’indicare in qualunque randomico fenomeno un “recession indicator”. Raramente però si scherza senza che ci sia un fondo di verità – è la verità è che questo meme parla allo stesso tempo di quanto il mindset finanziario sia entrato nella nostra cultura, di quanto la nostra cultura sembri chiusa in una spirale infinita di corsi e ricorsi storici ma soprattutto di quanto ci pare straniante quanto il futuro non sembri che una ripetizione di un passato la cui familiarità ci spaventa.

Che la battuta non indichi anche, però, il timore opposto di un futuro sempre più vicino che non conosciamo? A giudicare dalle crescenti notizie su inflazioni, guerre e crisi economiche prossime venture si potrebbe dir di sì, anche se secondo una banca come J.P. Morgan, sono due anni che si rischia una recessione negli USA senza che questa avvenga e quest’anno la probabilità è del 20%, alquanto bassa. Diverse sono le cose in Europa dove, però, sui “recession indicator” si scherza pochissimo. Forse anche questo è un “recession indicator”.