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Tira una brutta aria per le Big Tech

L’impressione è che non siano più a prova di futuro

Tira una brutta aria per le Big Tech L’impressione è che non siano più a prova di futuro

Dopo anni di crescita costante, nel 2024 il settore tecnologico ha definitivamente mostrato segnali di crisi. In particolare, per le Big Tech sembra che le cose vadano sempre peggio, e che i loro stessi modelli di business non siano più così solidi come un tempo. Ad esempio, il calo della domanda da parte degli inserzionisti pubblicitari ha evidenziato le fragilità di un sistema basato principalmente sulla raccolta e monetizzazione dei dati degli utenti. I ricavi, soprattutto quelli pubblicitari, su cui si basa gran parte del giro di affari delle Big Tech, stanno dunque diminuendo sensibilmente, cosa che ha costretto molte aziende a rivedere drasticamente le loro strategie – portando a tagli al personale dopo anni in cui gli organici erano notevolmente cresciuti. Inoltre, l’aumento della concorrenza da parte di nuove realtà più agili e innovative ha sottratto quote di mercato alle Big Tech, il tutto mentre gli investitori iniziavano a chiedere maggiori sicurezze economiche.

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Questo scenario ha obbligato l’adozione di politiche incentrate sulla riduzione dei costi e su una maggiore attenzione alla sostenibilità finanziaria. La crisi del settore ha spinto alcune aziende a cambiare modello di business, alterando il rapporto ormai decennale instaurato con gli utenti – in un progressivo peggioramento dell’esperienza di chi fruisce i servizi offerti. Questo fenomeno è stato definito “enshittification”, traducibile come «andare in m**da»: il termine indica l’insieme di decisioni che porta una realtà di successo a diventare progressivamente meno piacevole e utilizzabile per i suoi utenti, fino a entrare in crisi. Un esempio di “enshittification” è quel che è successo a Twitter, che da quando – nel 2022 – è stato acquistato da Elon Musk e ribattezzato X ha subito tagli indiscriminati al personale e la cancellazione dei sistemi di moderazione dei contenuti. Tutto questo, a sua volta, ha portato alla maggiore diffusione di post che incitano all’odio e veicolano teorie del complotto, suprematiste o transfobiche, così come fake news e contenuti di propaganda politica. Il risultato è che moltissime persone e organizzazioni hanno iniziato a lasciare la piattaforma, incoraggiando il calo degli investimenti pubblicitari.

Quando è iniziata la crisi delle Big Tech?

Durante la pandemia, a causa delle restrizioni, il ruolo della tecnologia era diventato molto più centrale, e il settore ne aveva beneficiato notevolmente. L’indice della borsa noto come Nasdaq, che più rappresenta l’andamento dei titoli informatici e tecnologici negli Stati Uniti, tra il 2020 e 2021 era cresciuto di oltre l'80%. Durante la pandemia, in sostanza, il settore delle Big Tech era il migliore su cui investire, e la percezione comune era che questa crescita non avrebbe mai subito una battuta d’arresto. È avvenuto il contrario: in borsa queste aziende erano state molto sopravvalutate, e successivamente hanno iniziato a deludere le aspettative degli investitori. Lo scorso anno, inoltre, la Commissione Europea ha ulteriormente complicato la vita delle Big Tech, designando le sei grandi aziende che saranno sottoposte a regole stringenti nell’ambito della concorrenza: si tratta di Alphabet (il gruppo proprietario di Google), Amazon, Apple, Microsoft, Meta e la cinese ByteDance, proprietaria di TikTok. La misura consiste in una serie di leggi pensate per limitare il monopolio delle più grandi aziende tecnologiche, che come tali godono di una posizione di forza e che quindi possono contrastare l’ingresso di nuove realtà nel settore. Tra le altre cose, le compagnie individuate non potranno favorire in nessun modo i propri servizi a scapito di quelli della concorrenza, con ricadute da non sottovalutare sui loro introiti. Le società che non rispettano la misura, inoltre, potranno subire multe particolarmente salate – tra il 10 e il 20% del loro fatturato annuo.

Per riuscire ad affrontare una fase potenzialmente molto dura, che comporterà notevoli cambiamenti strutturali, il settore delle Big Tech sarà obbligato ad attrezzarsi e rivedere i suoi modelli di riferimento. Secondo alcuni analisti, però, questo potrebbe essere un bene. Molte grandi aziende, infatti, da tempo avrebbero perso di vista quali siano le loro reali fonti di guadagno – vale a dire la pubblicità per i social network e i servizi ai consumatori per le aziende di software. Come aveva già scritto qualche anno fa il Wall Street Journal, è tempo che la tecnologia torni a essere «noiosa». La stessa Meredith Whittaker, esperta di tecnologia e presidente di Signal, app di messaggistica molto attenta alla privacy dei suoi utenti, sull’edizione statunitense di Wired ha scritto: «Nel 2025 la fine delle Big Tech determinerà la nascita di un nuovo e vivace ecosistema tecnologico,  [...] in grado di essere realmente innovativo e orientato al bene comune, non solo al profitto».