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L'ascesa dei content creator politici

Il segreto del successo di Trump è stato davvero il "bro vote"?

L'ascesa dei content creator politici  Il segreto del successo di Trump è stato davvero il bro vote?

Sempre più partiti politici si rivolgono ai content creator per sostenere le loro campagne elettorali nel tentativo di intercettare i più giovani, che tendenzialmente sono difficili da raggiungere con le tradizionali forme di comunicazione. Potrebbe sembrare una strategia scontata, considerando l'importanza che i content creator hanno acquisito nel marketing, ma non è affatto facile riuscire a ingaggiare una personalità famosa online, nota per contenuti di altro tipo, e convincerla a promuovere un messaggio politico. Nonostante i content creator siano generalmente restii a esporsi politicamente, spesso possono risultare più convincenti rispetto ad altre forme di comunicazione politica, come per esempio gli spot televisivi. Inoltre, di solito costano molto meno rispetto ai monumentali budget delle campagne elettorali. In quest’ottica, le agenzie di comunicazione politica stanno cominciando a coinvolgere anche i micro-influencer, che si sono rivelati particolarmente efficaci soprattutto in occasione delle elezioni locali.

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Resta il fatto che questo approccio non è del tutto nuovo: già per la campagna elettorale delle presidenziali statunitensi del 2016 alcune agenzie di partito avevano lavorato con degli youtuber per produrre contenuti che invitassero le persone a registrarsi per votare. Negli Stati Uniti, per partecipare alle elezioni bisogna iscriversi agli appositi registri ma, dato che l’astensionismo qui è tra i più alti in Occidente, nelle settimane precedenti al voto ci sono sempre estese campagne per ricordare alle persone di farlo per tempo. A prima vista, potrebbe sembrare una raccomandazione di tipo neutrale, ma negli USA i comitati elettorali che sfruttano i content creator lo fanno in realtà per ottenere un vantaggio strategico. In sostanza, cercano di insistere sulla registrazione elettorale di quelle fasce di popolazione in cui sanno di andare meglio degli avversari: il Partito Democratico, per esempio, promuove campagne di questo tipo tra le minoranze etniche, mentre il Partito Repubblicano si concentra sulle zone rurali. E i content creator sono ideali per raggiungere target così specifici.

 

Quanto hanno influito i content creator nella vittoria di Trump?

Durante le campagne elettorali del 2016 e del 2020, Trump aveva già goduto del sostegno di diversi content creator, particolarmente attivi nelle comunità online vicine all’estrema destra statunitense. Questa volta, però, il candidato repubblicano ha investito molte più risorse e attenzioni in tal senso. L’obiettivo – centrato – era assicurarsi il cosiddetto “bro vote”, ovvero il voto dei giovani elettori maschi tra i 18 e i 30 anni, che storicamente tendono maggiormente ad astenersi. Inoltre, diverse analisi sulle elezioni presidenziali hanno evidenziato lo spostamento verso destra di una parte dell’elettorato più giovane, soprattutto quello maschile. Un’ipotesi condivisa dagli esperti è che in quella fascia della popolazione i contenuti diffusi attraverso le piattaforme di podcast e i social network, anche senza il sostegno di grandi gruppi editoriali, abbiano avuto molta più influenza dei media tradizionali.

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Per capire a quali content creator concedere interviste, Trump si è fatto consigliare da un gruppo ristretto di giovani consulenti – tra cui suo figlio di 18 anni. Tra quelli selezionati vi sono stati, ad esempio, lo youtuber Logan Paul, il comico Theo Von o Joe Rogan, conduttore del podcast più popolare degli Stati Uniti, The Joe Rogan Experience, che solo su Spotify conta oltre 14 milioni di follower. A fine ottobre, prima del suo endorsement ufficiale, Rogan aveva ospitato Trump in una puntata del suo programma durata tre ore, che aveva poi ricevuto oltre trenta milioni di visualizzazioni in meno di due giorni. Le personalità da cui Trump si è fatto intervistare nelle settimane precedenti al voto appartengono, a ben vedere, alla cosiddetta “sottocultura dei bro”. Storicamente associata all’universo dei college e delle confraternite studentesche, la “sottocultura dei bro” fa riferimento a qualsiasi ambiente sociale di natura maschile, caratterizzato da una forma di complicità tossica tra i suoi membri, che in genere sfocia in atteggiamenti iper-maschilisti. Non a caso, su TikTok hanno cominciato a circolare vari video di giovani appartenenti a confraternite che festeggiavano la vittoria di Trump ballando la canzone “YMCA”, che solitamente viene trasmessa alla fine dei suoi comizi. Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di content creator hanno raggiunto un grande successo rivolgendosi a questo preciso target di pubblico, composto spesso da ragazzi adolescenti o preadolescenti. Riprendono di frequente i discorsi tipici dell’estrema destra, facendo ampio ricorso a teorie del complotto e dando risposte approssimative a dinamiche sociali molto complesse, i content creator attivi in queste nicchie di pubblico sono oggi ritenuti una delle ragioni dell’aumento della polarizzazione in ambito politico, soprattutto tra i più giovani.