The Apprentice scopre la vita di Trump e i segreti del suo terribile mentore
Il biopic di Ali Abbasi in cui Sebastian Stan si cala nei panni di un villain contemporaneo
13 Ottobre 2024
Nel 2024 il film che più parla di Donald Trump, seppur indirettamente, è senz’altro Civil War. Alex Garland scrive e dirige una parabola statunitense sul declino della democrazia e l’insorgenza di una condizione di panico, causata dalla ribellione dei vari Stati e dalla caduta di organi di controllo e sicurezza come l’FBI, sciolta dallo stesso Presidente interpretato da Nick Offerman. L’opera, un saggio sul giornalismo e la trasmissione di un mestiere, è l’estremizzazione di cosa potrebbe accadere di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, le cui sorti, nella realtà, verranno tirate a novembre 2024 con le elezioni del prossimo inquilino della Casa Bianca. Anche a Venezia81 la politica è stata fatta salire sul red carpet, con una pellicola meno di richiamo e più periferica, il The Order di Justin Kurzel per un viaggio indietro fino alle radici del suprematismo bianco, così da raccontare il capitombolo dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, dove i sostenitori di Trump hanno invaso Capitol Hill. In questo mosaico dove ognuno ha voluto mettere un proprio tassello per cercare di spiegare come si sia arrivati a eleggere un uomo che, stando al suo statuto lavorativo e mediatico, non aveva i minimi requisiti per poter diventare Presidente degli Stati Uniti, Ali Abbassi torna ancora più indietro riportando gli inizi del giovane rampollo in The Apprentice - Alle origini di Trump. Un’operazione con protagonisti Sebastian Stan e Jeremy Strong a mo’ di origin story per raccontare come l’imprenditore e padre della Trump Tower sia diventato il peggior villain della storia, superando addirittura il suo maestro. Perché c’è chi si è fatto da solo e chi, invece, si è lasciato plasmare. E per quanto Trump potrebbe negarlo («Negare, negare sempre» è una delle sue regole), il pubblico potrà approfondire la figura dell’avvocato Roy Cohn e la sua influenza, trovando il vero demonio a cui dare la colpa.
Avvocato newyorkese nato da famiglia ebrea osservante, consulente capo del senatore Joseph McCarthy e viceprocuratore nel processo per spionaggio a carico di Julius ed Ethel Rosenberg, il burattinaio che ha fatto muovere i primi passi a Trump era un diavolo privo di qualsivoglia bussola morale, verso gli altri e, perché no, anche se stesso. Radiato dall’ordine della sua categoria per cattiva condotta e omosessuale che ha negato fino alla fine le proprie preferenze, morendo nel 1986 per complicanze dovute all’AIDS, il personaggio di Roy Cohn si inserisce nel DNA di Trump al punto che i due diventano uguali, interscambiabili. E così i loro ruoli di potere. Dall’alto delle sue conoscenze, Cohn introduce il giovane imprenditore nelle stanze del piacere, nei locali privati in cui avvengono le trattative più importanti e gli svela i trucchetti per incastrare, ricattare, manovrare i più alti funzionari dello Stato. Dall’altro, Trump è un innocente dai grandi sogni, più gonfi delle sue stesse tasche, che ha accettato che il losco figuro lo manipolasse solo per fare poi lo stesso. Si può dire che abbia imparato dal migliore dei peggiori. Ha appreso che bisogna attaccare, negare anche di fronte all’evidenza e mai ammettere la sconfitta. Tattiche che se risultano familiari è perché sono le medesime che il ragazzo, diventato uomo, diventato poi massima carica degli USA ha seguito per il resto della propria vita, anche durante la campagna elettorale. Impartitegli da un amico, mentore, padre putativo che, però, ha dovuto prima o poi abbandonare.
@jamie_creighton21 New Clip from "The Apprentice" of Donald Trump and Ivana arguing about their wedding. #theapprentice #donaldtrump #roycohn #sebastianstan #jeremystrong #mariabakalova #ivanatrump #newrelease #newclip #film #filmtok #upcomingrelease #cinema #foryou #fypage #xyzbca Andante in C Minor - Nicholas Britell
Ali Abbasi si affida allo script di Gabriel Sherman, col quale torna indietro nel tempo allestendo il più classico dei biopic, punteggiato dai semi che un domani sarebbero germogliati nei deliri di onnipotenza del 45esimo Presidente degli Stati Uniti. E sebbene l’immagine del Trump di oggi aleggi costantemente nel film, regista e sceneggiatore teletrasportano in un passato non solo storico ma influenzato dall’estetica e dai media che hanno introdotto l’uomo e imprenditore al largo pubblico. Non è un caso che il titolo riprenda il The Apprentice, reality show con cui la maggior parte delle persone lo ha conosciuto e a cui accettò tra l’altro di partecipare nel 2004 proprio a seguito di una serie di fiaschi finanziari subiti negli anni Novanta. Il filtro dello schermo ripropone la texture degli anni Settanta, quando comincia la storia, per attraversare poi gli 80s con la sua grana indefinita, legando forma e contenuto, restituendo la medesima immagine di Donald Trump di quel tempo, coi media che dimostravano un interesse spasmodico per il pazzo investitore e che hanno contribuito a tracciarne il mito. Il presente è solo un eco lontano e il desiderio è di raccontare l’edificazione di un uomo anche attraverso gli strumenti di comunicazione dei decenni che rivivono nell’opera, il tutto con una costante ripresa da camera a mano che ha in sé il principio del documentarismo. Scelta per accentuare il fatto che ciò che stiamo vedendo è reale, è avvenuto sul serio. Al suo interno c’è tutto ciò che avremmo (purtroppo) ben conosciuto del Donald Trump attuale. I motti, le pubblicità, le uscite pubbliche, lo stile di vita, la tv che sarebbe poi diventata la sua casa. E che anche sul privato apre una porta: triste, dolorosa, del vergognoso trattamento riservato alla moglie Ivana e dello stupro coniugale che nel film serve come spiegazione di un matrimonio finito, ma anche di un trattamento riservato al genere femminile nell’ottica trumpiana del «Grab 'em by the pussy» che vale sia per le donne in generale che della sua famiglia.
Classico nella narrazione, ricercato ma soprattutto coerente nello stile, The Apprentice - Alle origini di Trump ha un Sebastian Stan per un Donald che passa tutto dalla bocca, dalla mascella coi suoi movimenti, dai tic delle labbra che vengono accentuati; mai eccessivi, precisi, segno di un’attenzione da parte del regista Abbasi e del suo interprete. Tutta la tensione del personaggio passa per la parte bassa del volto, con Stan che la rende punto nevralgico per riconoscere alla prima increspatura il protagonista e cosa sta pensando. Strong, invece, non è mai uscito da Succession. Inquietante e macchiettistico, non per prendere in giro Cohn ma perché spesso il male ha dei modi di fare ridicoli, l’avvocato è mefistofelico nell’animo quanto nell’aspetto: occhi all’infuori e eccessiva doccia solare ne infossano ancora di più lo sguardo, donandogli l’aspetto da vampiro che rispecchia perfettamente il suo animo da succhia sangue. The Apprentice è un film che, a differenza delle teorizzazioni sull’amministrazione Trump che ha offerto il cinema di recente, non analizza le conseguenze geopolitiche della sua scalata al potere ma evidenzia ciò che sarebbe inevitabilmente cambiato a livello sociale e culturale in America, restituendo un’angolazione diversa da cui osservare l’ex (e forse di nuovo futuro?) Presidente, assai più personale. La parte umana, marcia come molte delle sue dritte politiche, che si abbina benissimo al contenitore sempre richiamato della tv. Un antagonista come ce ne sono tanti altri. Solo che di solito, almeno nei film, vengono sconfitti.