MaXXXine, l'ultima stella
Si conclude così la trilogia horror del regista Ti West, affiancato dalla vera star Mia Goth
22 Luglio 2024
Incredibile come il personaggio di Mia Goth sia finalmente diventato una star nel film in cui, paradossalmente, brilla di meno. MaXXXine è il terzo e ultimo capitolo della trilogia cominciata nel 2022 da Ti West (prima con X - A Sexy Horror Stor, poi con Pearl, nel 2023), una parabola che si chiude con un thriller che sceglie di appartenere all’ambito dell’horror, questa volta declinato in chiave poliziesca. Il fulcro del progetto rimane invariato: un cinema di serie B studiato minuziosamente dal regista e sceneggiatore (oltre che montatore), che con l’ultima opera esplode in un’analisi sul genere horror, stravolto e sublimato. I fatti riprendono dalla chiusura di X, lasciando rilegato alla memoria Pearl, con la giovane Maxine Minx (Goth) nel 1985 diventata una professionista del porno dopo essersi lasciata una scia di cadaveri alle spalle nella vita precedente in Texas. Trasferita a Hollywood, trova lavoro nell’industria hard e crede che il grande salto sia possibile. Preferibilmente non come accaduto a Black Dahlia, soprannome con cui è conosciuta Elizabeth Short, che sognando la via dello spettacolo ha trovato la morte nel 1946 per le colline losangeline diventando icona della perdizione nell'epoca d’oro dello show business hollywoodiano.
Per Maxine, il pericolo di fare una brutta fine è alto. Un criminale si aggira per i vicoli della città degli angeli, rinominato Night Stalker, in continua caccia di vittime da poter uccidere. Eppure nulla sembra fermare la protagonista: né un assassino, né i produttori che non vorrebbero un volto del porno come protagonista di un loro film, né tanto meno l’oscuro investigatore privato che inizia a pedinarla. Un Kevin Bacon tutto filosofie di vita e riso beffardo. E un abito, compreso di cerotto sul naso, che lo rende una versione smagrita e esagitata del Jack Gittes di Jack Nicholson in Chinatown. Sebbene i toni delle pellicole stile B movie, che fin dal principio West ha preso come ispirazione per il proprio trittico sulla brama di successo a Hollywood (praticamente una versione più sporca e meno edulcorata dei “pazzi e sognatori” di La La Land), il ritmo di MaXXXine non sembra appartenere a nient’altro che alla personalità della sua protagonista. Intransigente, determinata, la giovane promessa dei cult di cassetta - come il primo che si accingerà a girare, il sequel di un’opera dell’orrore, La puritana 2 - ha un obiettivo preciso, sa come conquistarlo, e se ne frega del resto. E forse è lo stesso Ti West, con la massiccia collaborazione di Goth (produttrice e sceneggiatrice da Pearl in poi) che, arrivato alla chiusura di una delle trilogie più spudorate dei nostri tempi, punta i piedi e decide che è il momento di ricostruire e accorpare tutto ciò che ha cercato di esprimere con i suoi tre film. Una summa finale, meno esplosiva, ma più particolareggiata.
Videoteche, horror brutti (ma bellissimi proprio per questo), detective in incognito dai denti consumati dal fumo che traspirano alcol fin oltre lo schermo, poliziotti in borghese e distintivo bene in vista sulla cintura che sfrecciano per le strade statunitensi a caccia di killer e ingiustizie: sono queste le influenze che Ti West ha deciso di inserire nella sua ultima creazione. La storia del cinema - personale per l’autore, ma anche anagrafica e analogica - si apre chiara fin dalla prima inquadratura. In tutti i sensi. Uno sfondo nero, un portellone che viene spalancato e che, a poco a poco, diventa uno squarcio di luce che ci mostra cosa c’è “oltre” lo schermo. Se in Sentieri selvaggi, il cui opening non smette di costellare tutte le pellicole uscite dal 1956 in poi, il personaggio di Martha Edwards (interpretato da Dorothy Jordan) usciva dalla sua casa per mettere piede nell’Old Wild West, in MaXXXine la protagonista “sfonda” la parete e si immette in un cono illuminato per andare a prendersi il proprio posto nel mondo del cinema. Martha ci conduceva per una frontiera inesplorata. Maxine, invece, avanza in avanti, entra in un capannone degli studio hollywoodiani per il provino che le cambierà la vita. Entrambe sono destinate a far parte del parterre di stelle del panorama cinematografico, solo che MaXXXine ha invertito la rotta. Mentre X e Pearl procedevano con risolutezza nel racconto della propria storia, mescolando uccisioni e sesso - proprio gli elementi che, dagli anni Settanta in poi, avrebbero risvegliato la curiosità negli spettatori - il terzo film del regista di Wilmington sceglie un andamento più disteso e la completa assenza di scene madri. Il film è omogeneo nella sua calma tesa, nella maniera in cui non incalza lo spettatore, come non lo fa con i personaggi. Le sequenze sembrano quadri teatrali; hanno una consequenzialità e una trama che li lega, ma puntano più a stabilire un immaginario che a cercare una scansione della storia.
@a24 Star spangled cast #Maxxxine original sound - A24
In MaXXXine, l'immaginario horror diventa affresco. Non a caso in una scena la protagonista viene inseguita dall’investigatore di Bacon lungo diversi set degli studios cinematografici. Cambiano location durante il tallonamento alla guardia e ladri e, anche la musica, ad un tratto, suona tutt’altra melodia, scegliendo l’abbinamento adatto per la scenografia che fa loro da sfondo finché non arrivano alla ricostruzione della casa di Psycho. Non è poi neanche un caso che, all'interno dell'edificio, Maxine rievochi la Pearl anziana del primo film tanto simile alla signora Bates, o che, anche in vesti geriatriche, a interpretarla sia sempre la scream queen Mia Goth (e pensare che, proprio in questo 2024, il vero horror dell’anno sembra essere il Longlegs di Oz Perkins, figlio dell’attore Anthony, che ha impersonato Norman/Norma Bates nell’opera di Alfred Hitchcock). Anche sul finale dell’opera, la scansione del tempo e la cadenza dell’intrattenimento rimangono stranamente distese, insolitamente placide. Ci sono stati nel frattempo omicidi brutali, ritorni dal passato, registrazioni che hanno inciso azioni, nudità da cui è impossibile scappare e discorsi motivazionali da parte di una splendida Elizabeth Debicki nel ruolo della regista de La puritana 2. Insieme a una scena che richiama il cult osé per antonomasia, la pellicola che sembra obbligatorio dover citare quando si vuole parlare di sesso, Hollywood, morte e sogni di gloria: se Craig Wasson nella parte di Jake Scully si addentrava in un night club tra seni in vista, sodomia e latex sulle note di Relax dei Frankie Goes to Hollywood in Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, Maxine fa da esca in una discoteca sulle note di Welcome To The Pleasuredome, sempre del gruppo britannico, durante una sfrenata scena di ballo.
@indiewire Ti West shares what he loves about the sleazy Hollywood aesthetic and how it inspired “MaXXXine.” #tiwest #a24 #indiewire original sound - IndieWire
L’inaspettato andamento flemmatico tocca anche alla reference risolutiva della pellicola, la svolta alla Eyes Wide Shut che dovrebbe dare senso al tutto - con Goth, pilastro e incarnazione della trilogia stessa, che ha rivelato anche di essere andata a una vera e propria festa in linea con il ritrovo kubrickino per prepararsi al film. Perciò MaXXXine, con i dovuti spargimenti di sangue e il risvolto della fama che può arrivare anche dalla pubblicità più imprevedibile e cruenta - lo sappiamo benissimo, ormai, essendo ad oggi il true crime il genere per eccellenza tra film, miniserie e podcast - lascia più distanti di quanto abbiano saputo fare le pellicole che l’hanno preceduta. Con una protagonista che può dire di aver assaggiato la celebrità, vivendo una vita al pari di ciò che si merita, come le ripeteva sempre il padre. È diventata, dunque, una stella. Ma le è costato tutto. Come le costerà dover accettare che, per il gran finale, la luce di MaXXXine ha brillato più fioca, seppur sempre magnetica e intrigante.