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«E se facessimo del rock ‘n' roll che la gente può ballare?» intervista al frontman dei Jet

Nic Cester racconta la genesi di Get Born, il provino per gli AC/DC, cosa non fare in tour

«E se facessimo del rock ‘n' roll che la gente può ballare?» intervista al frontman dei Jet Nic Cester racconta la genesi di Get Born, il provino per gli AC/DC, cosa non fare in tour
Fotografo
Alberto Castellano

Nic Cester entra nella stanza con una camicia hawaiana giallo pallido, una giacca di lino bianco (“è Saint Laurent” mi confessa off camera), occhiali Moscot tartarugati, mocassini color mogano. Il look non è quello che ci si aspetterebbe da una rockstar, forse più da padre di famiglia in vacanza e dal gusto un po’ vintage, come conferma la bambina biondissima che lo segue nella stanza poco dopo e che gli somiglia in modo strabiliante. E le prime impressioni a volte possono essere veritiere: a Cester non interessano i cliché, né tantomeno essere una rock star, anzi, probabilmente non gli è mai interessato. Seduto sul divano, parla della fascinazione per De André, Battisti, Beniamino Gigli che lo ha portato a lasciare l’Australia e stabilirsi in Italia, racconta gli aneddoti più surreali della sua carriera, ci fornisce qualche consiglio su quello che si dovrebbe o non si dovrebbe fare durante un tour. Quando gli chiedo di cantarci Are you gonna be my girl? a favore di camera, ride sornione e mi risponde “col cazzo”. È onesto, divertito, un po’ imprevedibile e persino vagamente entusiasta quando parla del ritorno dei Jet, la band fondata a vent’anni con il fratello Chris a Melbourne e che a settembre riserverà due date al pubblico italiano: il 26 settembre all'Alcatraz di Milano, il 27 all'Orion di Roma. “Stiamo scrivendo nuova musica, ma non è un revival di scarsa qualità. I fan si chiedono come suonerebbe un pezzo dei Jet dopo vent’anni di assenza dalle scene. Suona esattamente come dovrebbe suonare” svela Nic. Ma cominciamo dal principio.

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Il 14 settembre, festeggiate il ventunesimo anniversario di Get Born, l’album che vi ha consacrati a band culto degli anni 2000. Com'è stato sperimentare un successo così immediato con quel disco, dopo anni di gavetta? 

La nostra carriera è stata insolita per molte ragioni. Quando abbiamo iniziato, eravamo molto giovani, troppo giovani per suonare in qualsiasi locale di Melbourne, il ché ha creato una dinamica interessante: ci siamo dovuti concentrare sulla scrittura delle canzoni e sulla qualità della performance. Quando finalmente siamo stati abbastanza grandi da suonare nei pub, abbiamo lasciato subito il segno, perché eravamo pronti. Quello dei Jet è un fenomeno difficile da spiegare. Con Get Born sembrava che tutti i pianeti si fossero perfettamente allineati: eravamo bravi, certo, ma c'erano anche altri fattori che hanno contribuito al nostro successo. Ci sono molte band di talento in giro, ma non tutte riescono ad avere successo, sai?

E quando hai realizzato che stavate avendo davvero successo? C’è stato un momento in particolare, un’epifania?

Questa è una domanda interessante, ma non voglio passare per pesante o perdermi in congetture.

No prego, perdiamoci in congetture.

Tutto si riduce a una semplice domanda: cosa significa per te la parola “successo"? Quando hai 20 anni, sei abbastanza superficiale sa pensare che la fama ti porterà alla felicità, ma non è vero. Negli anni la parola successo per me ha assunto una natura sempre più ordinaria: passare abbastanza tempo con mia figlia, scrivere una canzone di cui sei orgoglioso, anche se non viene ascoltata quanto vorresti.

A proposito di canzoni di cui essere orgogliosi, puoi parlarci della genesi di Are You Gonna Be My Girl?

In quel periodo, alla fine degli anni '90, la scena grunge era in declino e nessuno ascoltava più davvero il rock ‘n roll, che è la musica con cui siamo cresciuti, l’elettronica invece era già nell’aria. Abbiamo pensato: "E se facessimo del rock 'n' roll che la gente può ballare?"

Qual è il tuo rapporto con quella canzone adesso? Molti artisti odiano i loro più grandi successi.

Non suonerò mai quella canzone a casa, ma non mi stanco mai della reazione che suscita quando la eseguiamo dal vivo.

E com'è stato tornare a suonare con i Jet dopo anni lontani?

Di nuovo, sembra ci sia stato un altro allineamento planetario. Ho iniziato a trascorrere più tempo in Australia e a riconnettermi con gli altri ragazzi. Siamo stati inseriti nella Hall of Fame ed era il ventesimo anniversario di Get Born. Ogni band ha un'alchimia unica e la nostra ha la sua miscela infuocata, con qualche attrito. Nonostante le sfide, siamo riusciti a tenere tutto insieme. Il tour è stato divertente e stiamo lavorando a nuove canzoni che suonano come un'evoluzione naturale della nostra musica, il ché è davvero entusiasmante perché sin dall’inizio ho detto che non mi interessa farlo se doveva essere un revival di basso livello, come se ne vedono tanti in giro. Doveva essere puro, onesto, aggiungere qualcosa alla narrativa. I fan si chiedono come suonerebbe un pezzo dei Jet dopo vent’anni di assenza dalle scene: suona esattamente come dovrebbe suonare.

Parte dell’allineamento dei pianeti sembra essere il tempismo stesso del progetto. Stiamo vivendo un revival del rock? 

Non ne ho idea sai? Ascolto solo Dean Martin e Frank Sinatra mentre cucino (ride).

C’è un aneddoto sulla tua carriera che mi ha particolarmente colpito, quel provino surreale per gli AC/DC durato 48 ore. Puoi raccontarlo di nuovo?

Ero appena atterrato in Australia dall’Italia per stare un po’ in famiglia e avevo un jet lag tremendo. Brian Johnson aveva appena lasciato gli AC/DC, e mio suocero stava leggendo la notizia sul giornale quando si gira verso di me: "Hai visto questo?" E scoppiammo a ridere entrambi, ricordo di aver detto: "Non vorrei essere nei panni del il tipo che prenderà il suo posto." Dopo soli dieci minuti il mio telefono squilla e mi offrono un’audizione. Ho pensato che dovevo assolutamente provarci, anche solo per l’esperienza. Mi hanno fatto volare verso Atlanta, dove il tour si era fermato, peggiorando ulteriormente il mio jet lag. Le audizioni erano segrete, in uno studio molto piccolo che faceva comunque un baccano tremendo. C’erano otto cantanti in totale, alcuni di loro da cover band degli AC/DC, c’era persino Axl Rose.

Axl Rose, davvero?

Sì, è anche venuto a farmi i complimenti, mi ha detto: "amico, voglio solo farti sapere che sono stato qui tutta la settimana ad ascoltare, e tu hai fatto un lavoro incredibile perché tutti gli altri sono stati piuttosto scarsi." Allora ho pensato: "Porca miseria, forse potrei ottenere questo lavoro." Specie quando mi hanno detto di tornare il giorno dopo. Ma il jet lag era davvero tremendo e Angus cercava di testare la mia tempra sotto pressione, mi diceva: "Impara queste canzoni stanotte." Non mi è mai successo prima nella mia vita, ma ero così stanco che non avevo la capacità di trattenere alcuna informazione. Se leggevo un foglio di carta, era come se sparisse; non riuscivo proprio a memorizzare nulla. Quindi sì, sono state 48 ore di estrema, estrema...

Sopravvivenza?

È stato così intenso. Intendo tutto: la stanchezza, il volume, la pressione, tutto al massimo per 48 ore.

Hai un rito prima di salire sul palco? 

I Kings of Leon avevano una pezzo che cantavano ogni giorno, prima di salire sul palco, mentre eravamo in tour, per prenderli in giro, abbiamo detto “Abbiamo anche noi una canzone” per poi inventare questo brano che si chiamava Elton John e che diceva solo "Elton John, Elton John, Elton John, Elton John", a ripetizione. Quello che era iniziato come uno scherzo stupido è diventato una specie di rito. Poi abbiamo smesso di farlo.

Qualcosa che invece non si dovrebbe mai fare in tour?

Non andare mai di corpo in un autobus, specie se ci sono altre venti persone. È la regola d'oro.

Grazie per l’onestà. 

L'onestà è divertente.