«Stare con le persone giuste è una forma di indipendenza»: intervista ad Aminé
Il rapper si racconta prima del suo primo concerto al Circolo Magnolia di Milano
10 Luglio 2024
La musica di Aminé è luminosa come l’estate, un giallo acceso come il logo del suo brand Club Banana, un verde brillante come quello di un prato appena falciato. Incontriamo il rapper a pochi giorni dal suo primo show a Milano, il 17 luglio al Circolo Magnolia, un evento per cui si dice emozionato non tanto per l’agitazione di salire sul palco (è in tour da sette anni, quindi ormai ci ha preso la mano), quanto per la sorpresa di scoprire un pubblico diverso dal solito, a un oceano di distanza dal sole californiano, dai palazzi newyorchesi, ma anche dalla sua città natale, Portland. Con una nomination ai Grammy, un disco di platino, un album con Kaytranada e una collaborazione con New Balance alle spalle, fare due chiacchiere con Aminé è in verità un’esperienza estremamente “grounding”, come direbbero gli americani. Il suo approccio alla musica e alla moda è trasparente, ancorato a un forte senso di gratitudine che ormai è raro nell’industria del glitz e del glamour. Raccontando come ha imparato a proteggere la sua pace mentale e a ritagliarsi una dimensione tutta sua nel caos stravolgente che è il mondo dell’intrattenimento, Aminé svela che gli è bastato riconoscere la bellezza nelle piccole cose di tutti i giorni - «sia questo un insetto sul marciapiede o un ragazzo random con un bel fit che beve un caffè sul ciglio della strada» - e dedicare qualsiasi momento libero alla creazione.
La storia di Aminé inizia a Portland, in Oregon. Fisicamente rimosso dai centri culturali in cui si stava effettivamente sviluppando il rap statunitense, ci racconta il rapper, ha dovuto farsi un curriculum da solo prendendo spunto da internet. Sono stati quegli anni di formazione ciò che l’hanno aiutato a sviluppare una direzione creativa così incentrata sui colori, ci racconta, ispirata principalmente ai film che guardava mentre sognava di sfondare come shoe designer. «Quando si è trattato di fare musica, l'ho affrontata nel senso che volevo sentirmi come mi facevano sentire i film, colorati e pieni di vita», ricorda il rapper. Ragionando per visual, la musica riflette essenzialmente anche il suo stile in fatto di abbigliamento. «Non sono uno che ama i colori scuri, non mi vesto di nero, mai», e aggiunge che nonostante il mondo dell’hip hop sia storicamente legato al mondo del black&white, ci sono stati artisti fuori dalle righe come i De La Soul e persino Kanye («quando ha indossato la polo rosa», specifica) che sono stati portabandiera della controtendenza.
Per assurdo, i visual in technicolor e persino il ritmo upbeat che fonde elementi techno e hyperpop fanno da scudo a testi cupi e profondi. «Adoro scrivere testi deprimenti sui ritmi più allegri perché è divertente», dice Aminé. «Ti capita di ballare qualcosa che ti piace e poi ti rendi conto che il testo è molto triste». Un esempio recente che l’ha colpito particolarmente è stato Brat, l’ultimo album di Charli XCX che sta facendo il giro del web dalla sua uscita. Come Good For You, TWOPOINTFIVE e Kaytraminé, lo appassiona lo scontro sensoriale tra un ritmo allegro e una riflessione tetra. «Non è solo hype», afferma, consapevole che l’album di Charli XCX sia già finito in un vortice virale record. Discutendo delle pressioni che gli artisti contemporanei devono affrontare oggi per sfondare nel mondo della musica, il rapper offre una riflessione interessante circa l’arma a doppio taglio che rappresentano i social media odierni in fatto di musica. «Non si può ignorare che TikTok e la viralità sono l'unico modo in cui la musica esplode al giorno d'oggi, ma è un periodo triste per gli artisti», commenta il rapper. «Si ha l'impressione che l'arte non sia più genuina come un tempo, ma la roba migliore che piace alla gente è sempre fatta per caso, si tratta sempre di qualcuno che parla con il cuore». Allo stesso modo, sottolinea l’importanza per i musicisti emergenti di non provare a tutti i costi di farcela da soli. «Avere il team giusto è molto importante, perché stare con le persone giuste è di per sé una forma di indipendenza. Bisogna trovare la giusta indipendenza e non prenderla alla lettera».
Nonostante brani che parlano di solitudine, di depressione e di nostalgia, i colori che Aminé sceglie per i suoi visual non hanno niente a che fare con le emozioni, come potrebbe essere il verde per la gelosia e il blu per la tristezza. Mentre ci mostra la maglietta che indossa, una prossima uscita di Club Banana che prende ispirazione da una maglia da calcio vintage, ci racconta che ama usare il colore a scopo narrativo. «Si possono usare un sacco di colori per una scarpa e il risultato è fantastico, ma il momento di maggior orgoglio è quando si usa il colore di qualcosa che ha una storia sentimentale alle spalle, come la foglia o l'albero che si è cresciuti vedendo nel giardino di casa». Questo approccio “al naturale” che il rapper dedica al processo creativo di Club Banana si riflette nella sua visione consapevole della moda e del consumo. «Non tutti i brand hanno bisogno di un milione di paia di calzini», osserva. «Sto cercando di fare in modo che le cose che realizziamo siano intenzionali e abbiano uno scopo, che tu tenga quella maglietta perché ha un significato più importante di una maglietta qualsiasi». Mentre ci balena in testa l’idea che la prossima data di Aminé al Circolo Magnolia ispirerà il rapper a disegnare una collezione delineata dal giallo zafferano milanese, gli chiediamo cosa lo motiva di più a creare. «Se non creo, mi deprimo molto», dice senza troppi giri di parole, ma poi aggiunge: «La musica è qualcosa che le persone possono portare con sé, ovviamente, per anni, ma anche poter toccare fisicamente qualcosa che abbiamo fatto è davvero bello, e mi piace camminare per strada e vedere un ragazzino che indossa le mie scarpe».