Perché dovremmo smettere di cercare un senso a Parthenope
E a Sorrentino
24 Maggio 2024
Lo scorso martedì al Festival di Cannes si è tenuta l’anteprima di Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Una avvenimento accolto con più entusiasmo forse all'estero piuttosto che in patria, dal momento che non è un luogo comune per gli italiani guardare con sospetto i connazionali di successo. Soprattutto se per connazionale si intende il regista premio Oscar per La Grande Bellezza, colui che Nic Cage definirebbe “A Movie Star”. Per capire la portata del nuovo film di Sorrentino basterebbe vedere i nomi coinvolti nel progetto: la produzione targata Saint Laurent; l’acquisizione dei diritti di distribuzione per il Nordamerica da parte di A24; la presenza di Gary Oldman e Peppe Lanzetta nel cast; l’interesse dimostrato da Greg Williamson, arrivato sul set a scattare foto come solo lui al mondo sa fare.
Sensazione poi acuita dall'aria di trepidante attesa che si respira da due settimane sulla croisette, data dalla voglia di scoprire una nuova pellicola tanto dall'urgenza di giudicarla. D’altronde è stato lo stesso Sorrentino a sottolineare come, davanti all'ultimo film di un regista, venga messa in discussione tutta la carriera di un autore. Affermazione effettivamente valida per la maggior parte dei registi, ma per lui in particolare. Il motivo? Difficile a dirsi. Sorrentino evoca un liricismo diviso, per alcuni ridondante e autoreferenziale, ma ha anche un’anima punk che non gli permette di essere ascritto in un sistema. Non ha remore nel fare suo qualsiasi argomento. E in più è un genio e tutti lo sanno. Non un Prometeo alla Oppenheimer, in grado di cambiare per sempre le sorti del cinema. Ma un uomo dotato di una sensibilità superiore a quella dei comuni mortali, che nota e intuisce frequenze emotive e sfumature di significato all'appannaggio di pochi. Una visione fatta di tantissime domande e pochissime risposte, perché Sorrentino è uomo dedito al dubbio, proprio come i suoi film. Ed è forse per questo che la ricerca spasmodica del "senso" al termine della visione di una sua pellicola lascia spesso interrogativi ancora aperti e amaro in bocca.
I suoi film condensano questo sguardo e lo traducono in un linguaggio cinematografico che non ha veri riferimenti (si smetta di tirare fuori Fellini senza cognizione di causa) se non appunto il proprio modo di vedere le cose. E davanti a una visione unica, tradotta in un linguaggio che non ha precedenti in grado di aiutarci nella sua traduzione, è del tutto normale sentirti smarriti. È invece - mi si permetta - profondamente sbagliato intestardirsi nel cercare l’ultimo pezzo del puzzle o spiegazioni in grado di creare semplici scorciatoie ad un percorso che dovrebbe essere esso stesso il "senso" del film. Un atteggiamento di questo tipo, davanti a un’opera come Parthenope, porta a smarrirsi, perdere il viaggio e non solo.
Lasciarsi andare e accettare di far entrare la malinconia
Siamo al terzo paragrafo di questo articolo e ancora non è stata detta una parola sulla trama di Parthenope. Non avverrà neanche nelle righe successive. Perché, seppur il film abbia ovviamente una trama (persino più netta rispetto ad altri titoli della filmografia sorrentiniana), cercare di ricostruirla ci distoglierebbe ulteriormente dall'esperienza di spettatori. Parthenope, come Napoli, è tutto e il contrario di tutto. Sorrentino, nel suo flusso di dubbi e domande senza risposte, chiede esplicitamente allo spettatore di lasciarsi andare. Vivere quel mare, bagnarsi delle sue acque, respirarne l’essenza ma sempre con il monito di non farsi trascinare a fondo. È un puro concentrato di malinconia questo nuovo film di Sorrentino. Non poteva che essere lei la prescelta. Il sentimento più contraddittorio che ci sia. Si associa al passato, al futuro e al presente. È calda, avvolgente e a tratti opprimente, eppure ti porta in viaggio ogni volta. La malinconia è composta d’acqua e sale ma al palato ha un sapore dolce. Un’emozione semplice eppure così sfuggente nel trovare una definizione. Paolo Sorrentino è riuscita a filtrarla con la sua visione del mondo e a condensarla in un unico film. Perdersi nel trovare risposte o significati semplici è un atto di cattiveria. Ma non nei confronti di Sorrentino o di Parthenope. Nei nostri, perché rischieremmo di perdere la possibilità di lasciare entrare la malinconia e in definitiva di imparare a conoscere meglio noi stessi.