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Davvero Matrix in realtà parla dell'essere trans?

Una teoria confermata dalle stesse registe

Davvero Matrix in realtà parla dell'essere trans? Una teoria confermata dalle stesse registe

La Warner Bros di recente ha annunciato che il quinto film della saga di Matrix è in lavorazione. Non è però ancora noto il titolo ufficiale né il cast – non è nemmeno chiaro quindi se parteciperanno Keanu Reeves (Neo) e Carrie-Anne Moss (Trinity). Per il momento si sa solo che la pellicola sarà scritta e diretta – su sua stessa proposta – da Drew Goddard, già noto per The Martian e per l’apprezzato horror Quella casa nel bosco. Sarà perciò il primo capitolo della saga a non essere curato da nessuna delle due sorelle Wachowski, che hanno reso Matrix il prodotto di culto che è oggi. Quandò uscì, nel 1999, fu subito un successo: vinse quattro Oscar e in breve tempo divenne parte della cultura di massa. Matrix riuscì anche ad anticipare molti temi, influenzando successivamente la moda, la letteratura e lo stesso settore cinematografico. Ma soprattutto, riuscì a trattare, fra le righe e a suo modo, anche tematiche legate alle questioni di genere – una cosa all’epoca impensabile per Hollywood. Qualche anno fa, infatti, la regista Lilly Wachowski ha confermato definitivamente una teoria che alcuni critici e appassionati sostenevano da anni, ovvero che Matrix è stato pensato fin dall’inizio come una grande e complessa metafora dell’esperienza di essere una persona transgender. Le stesse sorelle Lilly e Lana Wachowski sono due donne transgender – all’epoca dell’uscita di Matrix erano conosciute come i “fratelli Wachowski”: la prima fece coming out nel 2016, mentre la seconda nel 2012.

In cosa consiste la metafora transgender di Matrix

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In base alla teoria in questione, la neuro-simulazione in cui vivono gran parte degli esseri umani nel film, e che dà il nome alla pellicola, rappresenta in sostanza il binarismo di genere. In questo senso, il protagonista Thomas Anderson vive invece una disforia di genere – conduce non a caso una vita parallela (da hacker), e si fa chiamare con un altro nome (Neo). Il film è pieno di indizi che suggeriscono questa interpretazione. Quando Morpheus conosce Neo per la prima volta, riferendosi alla sua condizione e a Matrix (ovvero al sistema opposto basato sul binarismo di genere), gli dice: «Intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo; non sai bene di che si tratta ma lo avverti. È un chiodo fisso nel cervello, da diventarci matto». A un certo punto del film, poi, Trinity dice a Neo: «Matrix non è in grado di dirti chi sei». E ancora: quando l’Oracolo incontra Neo gli fa notare la scritta «temet nosce» – che significa «conosci te stesso». Un altro piccolo particolare che sottolinea quanto Matrix sia in realtà una metafora sull’essere transgender era stato notato nel 2016: il principale antagonista del film, l’agente Smith, fa riferimento a Neo solo attraverso il nome che lui stesso ha rifiutato, vale a dire «Mister Anderson». Una dinamica, questa, che le persone transgender tendenzialmente subiscono da parte di chi non accetta la loro identità. C’è poi la pillola rossa, grazie al quale Neo riesce a uscire da Matrix, cioè del sistema che limita la sua stessa natura: non stupisce che, negli anni Novanta, il farmaco che le persone transgender assumevano per portare avanti la terapia ormonale era effettivamente una pillola di colore rosso.

Lilly Wachowski, parlando nel documentario del 2020 Disclosure, dedicato alla rappresentazione delle persone transgender nel cinema, ha detto di essere felice che sia finalmente emerso il reale significato di Matrix; ha poi precisato che la metafora transgender era l’intenzione originale della storia, ma che il mondo e le case di produzione all’epoca non erano ancora pronte. In una delle prime versioni della sceneggiatura, ad esempio, il personaggio di Switch – che fa parte della resistenza – avrebbe dovuto essere una persona trans, presentandosi come uomo nel mondo reale e come donna all’interno di Matrix. Alla fine, però, le sorelle Wachowski nella versione definitiva dovettero accontentarsi di caratterizzare il personaggio di Switch (il cui nome deriva da una della forme inglesi del verbo “cambiare” o “mutare”) solo con uno stile androgino. La metafora su cui si regge Matrix si nota anche nella scena conclusiva, dove si vedono numerose stringhe verticali di codice e la scritta «system failure» – cioè «errore di sistema». Mentre la voce di Neo dice «so che avete paura di noi, paura di cambiare», l’inquadratura si avvicina sempre di più verso il centro della scritta, finendo nello spazio tra le lettere “M” e “F”. Secondo la teoria in questione, quello spazio rappresenterebbe lo spettro all’interno del binarismo di genere, ovvero tra l’essere maschio (“M”) o femmina (“F”).