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Benvenuti nell’era della thirst trap

Quando l’uomo si scopre oggetto del desiderio

Benvenuti nell’era della thirst trap Quando l’uomo si scopre oggetto del desiderio

In principio fu Mark Whalberg per Calvin Klein. Era il 1992 e le fotografie di Herb Ritts non mostravano il classico modello da catalogo ma un ragazzaccio di strada in boxer, una smorfia spiritosa sul suo viso e un fisico erculeo, scoppiante di vita e salute, che ogni uomo avrebbe desiderato. Certo, la cultura della palestra era già diventata diffusissima nel corso degli anni ’80 ma il debutto sui cartelloni di Marky Mark rappresentò uno spartiacque: anche un ragazzo qualunque di Boston, per altro dall’aria un po’ cafona, poteva essere un oggetto del desiderio, tanto più vero e rude quanto più impudentemente erotico. Ora, fino all’arrivo dei social media (non apriamo nemmeno il discorso OnlyFans) non solo la disponibilità di questo tipo di immagini  era per forza di cose più scarsa, ma era anche meno frequente che fossero prodotte autonomamente. Fino a dieci anni fa,  in effetti, un uomo che passasse il proprio tempo a fotografare il proprio fisico sarebbe stato considerato come minimo insolito. Crescendo nei primi duemila, gli adolescenti maschi praticavano molto sport ma l’idea di possedere un fisico scolpito da esibire in foto suggestive era abbastanza estranea alla mentalità comune. Oggi le cose sono cambiate: nell’era delle dating apps e dei follower su Instagram, non solo servono foto per potersi presentare al mondo ma bisogna anche mostrarsi come individui concupiscibili e modelli, influencer e anche individui comuni hanno creato un intero stile comunicativo basato sullo sfoggio, più o meno suggestivo, del proprio fisico. È l’era della thirst trap.

Tra esplosione dei social e liberalizzazione dell’idea di virilità, l’iconografia dell’auto-rappresentazione maschile nel 2023 è indubbiamente diventata più erotica. Ora, scorrendo un qualunque feed di Instagram si nota che la stragrande maggioranza di queste foto senza maglia, in costume o in mutande non hanno fini di natura erotica: sono foto “candide”, che mostrano i risultati dell’allenamento o dell’allenamento stesso, foto in vacanza o al mare, magari anche selfie fatti a casa. Non di meno, per innocenti che siano, tutte le foto che espongono ed esibiscono un corpo nudo vogliono in una certa misura suscitare attenzione e desiderio. Pensiamo al selfie di Bad Bunny nudo allo specchio, dove bastava abbassare il contrasto della foto per far emergere dalle ombre dettagli fisici molto intimi. O pensiamo a Gianluca Conte, noto ai più come @itsqcp, diventato noto ai più per i suoi video di cucina: e se i video culinari sono effettivamente belli e scorrevoli e se l’esuberanza personale di Conte gioca un ruolo fondamentale, è impossibile non notare che il modello è nudo sotto il suo grembiule – che incidentalmente è in vendita sul suo e-shop. È logico domandarsi se questo piccolo ma cruciale dettaglio abbia contribuito a portare il suo profilo a sfiorare i due milioni di follower. Il modello e creator Vinnie Hacker, che vanta più di cinque milioni di follower e un numero sterminato di fan page in cui i vestiti scarseggiano e le emoji del fuoco abbondano, ha fatto della thirst trap un veicolo per conquistare campagne di moda, lanciare merch e diventare una personalità conosciuta ovunque. Un altro creator americano, Evan Lamicella, è passato dal pubblicare immagini sparse ma frequenti del proprio fisico a diventare una thirst trap vera e propria, ha lanciato un brand di abiti di atletica e anche un florido profilo di OnlyFans. 

Ma cosa succede quando si passa dai modelli professionali ai “privati” che vogliono provare a fare i creator in senso ampio o coltivano semplicemente un profilo personale? Quest’estate, un giovane creator milanese abbastanza noto e di cui non faremo il nome ha postato nelle sue IG Stories una foto-thirst trap. Le risposte arrivate in DM a questo ragazzo di diciannove o vent’anni sono presto passate dai semplici apprezzamenti ad avances aggressive e non richieste, quando non apertamente oscene. Il creator in questione si è visto dunque costretto a pubblicare una storia subito dopo dove chiariva sia il proprio orientamento sessuale per i suoi follower, facendo capire che non desiderava ricevere proposte indecenti da uomini, sia per protestare contro la virulenta sessualizzazione di cui era diventato oggetto. Il caso dimostra la contraddizione di quei “modelli da social media” che non hanno problemi a solleticare gli appetiti della propria audience postando thirst trap così benefiche per le metriche social ma che appaiono stupirsi della natura sessuale di quegli stessi appetiti. E non diciamo questo per scusare o giustificare i commenti osceni che gli sono stati indirizzati, che sono sempre e comunque sbagliati quando non richiesti, ma per evidenziare il fatto che, nella loro versione più innocente, i creatori di thirst trap paiono allegramente inconsapevoli del perché l’audience li segue in primo luogo. Più spesso che non, non si tratta della loro personalità.

Ma le cose si fanno ancora più torbide quando le immagini in questione sono queer-coded. Nel corso degli anni l’iconografia queer si è intensamente concentrata sull’esplorazione ed esibizione del corpo maschile, sviluppandosi in base ad archetipi di natura spesso feticistica, che hanno per protagoniste certe parti anatomiche o pose specifiche, trasformatesi nel tempo in topoi visivi (o, meglio, clichè) con cui la comunità queer rappresenta ed esalta la propria sessualità, inviando anche segnali di riconoscimento con cui i membri della stessa comunità potevano identificarsi in maniera per lo più implicita attraverso i social. Non è un mistero per nessuno, in fondo, che la cultura gay coltivi standard fisici ed estetici che alcuni definirebbero “stringenti” ma che altri chiamano “tossici”. Inconsapevolmente però, i creator di thirst trap hanno iniziato, in maniera ora innocente ora del tutto maliziosa, a mutuare proprio dalla fotografia di stampo queer queste soluzioni visive sotto forma di close-up, inquadrature apparentemente innocenti e pose specifiche che paiono disegnate su misura per quelle audience queer che, spesso, costituiscono una sostanziale fetta del pubblico di questi attraenti ventenni il cui orientamento, in molti casi, non corrisponde a quello di questa fetta di pubblico. 

@notmr.bigchops69 #duet with @janis.danner Originalton - Janis_danner

Senza voler scendere in eccessive elucubrazioni, comunque, la quasi totalità degli uomini che postano thirst traps avrà un chiaro obiettivo in mente: mostrarsi attraenti, mietendo like e validazione sociale insieme, facendosi pubblicità presentandosi in contesti innocenti ma con un chiaro quanto implicito richiamo sessuale. Il mezzo sicuramente funziona, ma funziona troppo bene andando a tingere le relazioni parasociali che molti utenti hanno con creator o utenti privati di un’attrazione erotica che può esprimersi con le classiche emoji del fuoco ma spesso non sfocia da nessuna parte dando potenzialmente adito a comportamenti scorretti. L’intensità di queste relazioni parasociali può a volte sfociare in atteggiamenti e reazioni apertamente oscene – un’ondata di desiderio represso che molti giovani creator cavalcano allegramente difesi spesso da dubbi candore e ingenuità. Non di meno la celebrazione della fisicità ha fatto diventare la nudità parziale o totale un valore positivo in assoluto e in sostanza ha fatto del corpo una specie di mercanzia da esibire in vetrina per attirare il pubblico diventando la metrica con cui chi osserva misura la confidence dell’osservato che, a sua volta, misura la propria desiderabilità, riflessa nei like e nelle reaction. E il fatto che nessuno sia disposto ad ammettere la fondamentale natura erotica di questi contenuti rappresenta forse una dimostrazione di come, anche al culmine dell’epoca della body positivity, la bellezza tradizionale rimanga un’essenziale valuta sociale. Basta non dirlo ad alta voce.