Il governo americano può davvero vietare TikTok?

Qualche settimana fa, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato una legge per eliminare la nuova app preferita dalla moda dai dispositivi del governo federale. Il "No TikTok on Government Devices Act" dà al governo 60 giorni per stabilire le linee guida di una nuova papabile restrizione che apre le porte a conseguenze ben più drastiche, come, ad esempio, un ban definitivo per tutti. Dal 2020 in poi 20 Stati americani hanno adottato misure per cancellare l'app di proprietà cinese da alcuni o tutti i dispositivi governativi, chiarendo ulteriormente il fatto che gli Stati Uniti considerano TikTok una minaccia concreta, nonostante la sua reputazione di innocuo melting pot di video di adolescenti che ballano. Un disegno di legge che ha una lunga strada davanti a sé prima di un’ipotetica approvazione, ma che toccherebbe più di 100 milioni di utenti TikTok negli Stati Uniti e numerose aziende di moda per cui il social è un importante strumento di promozione. «Il Congresso odia TikTok», ha dichiarato a BoF James Andrew Lewis, direttore del programma sulle tecnologie strategiche presso il Center for Strategic and International Studies, un think tank di Washington DC. Ma quali sono i veri motivi dietro questo astio?

Gli Stati Uniti temono che il governo cinese possa accedere al vasto patrimonio di dati di TikTok sugli utenti statunitensi attraverso la sua società madre, ByteDance, o prendere il controllo dell'algoritmo che determina ciò che gli utenti vedono, consentendo alla Cina, secondo le parole del direttore dell'FBI Christopher Wray, di "manipolare i contenuti”. Un problema affrontato per la prima volta dall'ex presidente Donald Trump, il cui tentativo di vietare l'app è stato bloccato da un tribunale e successivamente revocato da Biden. E, nonostante TikTok abbia respinto le affermazioni secondo cui il Partito Comunista Cinese potrebbe influenzare gli utenti, la preoccupazione per i dati non accenna a diminuire. In particolare il timore è che i vertici di TikTok possano usare tali dati per accedere ad informazioni sensibili su membri del governo o dipendenti di aziende statunitensi che si occupano di infrastrutture critiche. Nonostante gli sforzi per isolare la piattaforma dalla Cina - tra cui l'arruolamento di Oracle, con sede in Texas, per archiviare i suoi dati statunitensi - sembra impossibile separare le due realtà finché l'app è di proprietà cinese, poiché Pechino può costringere le aziende private del Paese a consegnare i propri dati in qualsiasi momento. A ciò si aggiunge la recente ammissione di ByteDance di aver avuto accesso ai dati di giornalisti del Financial Times e di BuzzFeed News nel tentativo di rintracciare le fughe di notizie dell'azienda, sollevando preoccupazioni anche in Europa. 

Ma ci sono altri passi che i legislatori possono fare. Un'opzione potrebbe essere quella di costringere ByteDance a vendere l'azienda a una società americana, idea già ventilata ai tempi di Trump, con aziende come Walmart che si erano dette interesse all'acquisto, sempre che ByteDance lo voglia e Pechino lo permetta. Un'altra strada potrebbe essere quella di mediare un accordo di trasparenza tra il social e le autorità statunitensi, implementando le misure di gestione e archiviazione dei dati. Un tentativo già intrapresa lo scorso anno, ma i repubblicani e il Dipartimento di Giustizia si erano sin da subito fermamente opposti. La Destra americana si trova difatti a un bivio: da un lato c’è la totale sfiducia verso il governo cinese e la volontà concreta di prendere misure drastiche riguardo le ingerenze di TikTok, dall’altra la necessità di utilizzare la piattaforma per scopi propagandistici in vista delle elezioni - «Nessuno vuole mettersi dalla parte sbagliata degli elettori. Questo non cambierà», ha detto Lewis. Da questa grande contraddizione di fondo nasce la convinzione diffusa che il governo, minacce a parte, potrà fare ben poco contro TikTok. Emerge più che mai la precarietà nell’utilizzo di piattaforme che oggi muovono interi mercati, la moda in primis, e la necessità di costruire alternative che, tra Instagram in fin di vita e Twitter allo sbaraglio, potrebbero rappresentare una zattera di salvataggio in casi estremi.