Anarchy in the UK fashion
Il futuro della moda inglese dopo il Brexit
08 Luglio 2016
Lo scorso 23 Giugno i cittadini britannici sono stati chiamati a votare sul referendum che ha sancito l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Il 72,2 percento della popolazione ha votato e, con il 51,9 dei voti, ha vinto il Brexit, contraddicendo sondaggi e statistiche, e lasciando sbigottita l'opinione pubblica europea.
La definitiva “rottura” non è immediata, i tempi previsti per l'operazione sono lunghi, ci vorranno forse anni, ma le conseguenze del Brexit hanno travolto subito il Regno Unito e l'Europa. In primis, il crollo della sterlina sul dollaro, con perdite oltre il 10 percento, e perdite consistenti delle principali borse europea a causa dell'incertezza del mercato. In seguito, il Primo Ministro David Cameron, che aveva voluto il referendum, ma poi ha portato avanti una campagna a favore del Remain, ha dato le dimissioni e sarà sostituito entro sei mesi da un nuovo Primo Ministro. Infine, il Brexit è stata una scintilla che ha innescato una reazione a catena di malumori verso l'Unione Europea, che teme altri Referendum pro-exit, e di richieste di indipendenza della Scozia e dell'Irlanda del Nord, che erano a favore del “Remain”.
Dunque, si tratta di una svolta storica che ha delle conseguenze su ogni fronte: politico, economico, sociale e sul sentimento comunitario europeo. Vi assicuro che la questione del passaporto per le vostre vacanze a Londra è l'ultimo dei problemi.
E qual è stata la reazione della moda britannica?
Londra è da sempre una delle capitali della moda, punto di riferimento per nuove tendenze di successo, talenti emergenti rivoluzionari e un panorama sconfinato di sottoculture e movimenti giovanili che da anni ispirano i guardaroba di mezzo mondo. Un mercato così dinamico e cosmopolita non poteva non subire delle ripercussioni a causa del Brexit.
Una delle principali conseguenze sarebbe la notevole perdita di fondi destinati agli istituti di moda. Infatti, l'European Regional Development Fund ha investito milioni nella moda britannica. Il London College of Fashion ha ricevuto sostanziosi finanziamenti dall'ente europeo, che ha inoltre sponsorizzato e sostenuto notevoli progetti per aiutare gli stilisti e accrescere le loro opportunità lavorative. L'ERDF ha anche sostenuto economicamente il British Fashion Council, che con circa 5 milioni di sterline negli ultimi anni ha costituito una base solida per la crescita di stilisti, stylist e molte altre figure del settore.
Per quanto riguarda l'aspetto economico, la situazione si complica. Il Regno Unito, infatti, per adesso è ancora nel mercato unico, ma difficilmente potrà continuare a essere così dopo la sua uscita dall'Europa. Questo implicherà, molto probabilmente, la perdita di agevolazioni e tassi d'interessi ridotti per il commercio con i paesi europei. La conseguenza più lampante è che i costi dei prezzi di molti prodotti, anche d'abbigliamento, potrebbero subire un'impennata.
In una recente intervista, lo stilista di CMMN SWDN, Saif Bakir, ha dichiarato che il suo brand, come molti altri, ha sempre trattato in euro, poiché è una moneta che sta sempre più acquistando valore in UK e si tratta di una valuta ampiamente utilizzata. Dunque, apparentemente, il Brexit non dovrebbe influire radicalmente sui suoi affari.
Tuttavia la questione non è così facile. Infatti, il problema principale riguarda le importazioni ed esportazioni con l'Unione Europea. Ad esempio, lo stilista Matthew Miller afferma che circa il 70% della sua produzione viene esporta in Europa e altrove, un dato notevole che potrebbe subire drastici cambiamenti con i futuri provvedimenti in vista del nuovo assetto economico-finanziario britannico.
Problema simile anche per CMMN SWDN che importa una gran quantità di materiali per le sue collezioni dall'Italia, Portogallo e Polonia, commercio che potrebbe farsi più difficoltoso e dispendioso nel caso in cui l'UK uscisse definitivamente dal mercato unico. Le conseguenze, ovviamente, ricadrebbero sui costi di produzione, ma anche sui prezzi e, quindi, sui consumatori.
Altro aspetto riguarda gli studenti europei che vogliono intraprendere studi in moda nel Regno Unito. A differenza degli studenti extraeuropei, che pagano tasse scolastiche maggiori – ad esempio, un corso al Central Saint Martins di Londra costa a uno studente inglese circa 10,000 sterline, contro i 15,000 di uno studente straniero – gli studenti europei sono protetti e pagano le stesse rate di quelli inglesi, condizione che potrebbe cambiare dopo la decisione dei britannici di lasciare l'Unione Europea. Si tratterebbe di un cambiamento che potrebbe avere delle gravi ripercussioni sugli istituti del settore moda, che da sempre sono famosi per essere meta ambita da molti studenti stranieri e per aver dato i natali a moltissimi talenti affermati.
Quel che è certo è che il futuro della moda britannica, la cui industria è uno dei principali esportatori del paese, è ancora avvolto da una nube di incertezza. Senza ombra di dubbio, invece, sono le opinioni degli stilisti inglesi. Secondo un sondaggio lanciato dal British Fashion Council su un campione di 500 contatti, di cui 290 hanno risposto, il 90% ha espresso la volontà di restare nell'Unione Europea, il 4.3% era a favore del Leave, il 2.4% era indeciso e il 2.8% non ha votato.
Tra i più noti stilisti a sostegno del Remain troviamo Vivienne Westwood, Jonathan Anderson, Claire Barrow, Ashley Williams e Christopher Raeburn. Peccato che questa volta il trend che hanno lanciato non è stato seguito dalla maggioranza.