Alessandro Michele vs Demna Gvasalia
5 cose che non sapevate i due avessero in comune
20 Aprile 2016
Due nomi su tutti hanno scosso il fashion system negli ultimi mesi – e non potrebbero essere più diversi. Si tratta di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci dal gennaio 2015, e Demna Gvasalia, leader del collettivo di Vetements al capo di Balenciaga dall’ottobre dello scorso anno.
In occasione del debutto di Gvasalia per la Maison di Cristobal Balenciaga durante la settimana della moda parigina di marzo, Alexander Fury ha deciso di mettere i due creativi a confronto, come mai nessuno aveva osato fare prima (ecco spiegato il motivo della presenza di Michele nel front row della sfilata).
È emerso, in maniera piuttosto sorprendente, che i due designer, nonostante le palesi differenze che li contraddistinguono – età, nazionalità, background professionale, ideali estetici – abbiamo molto, moltissimo, in comune. Visioni moderne e rivoluzionarie degne di due personalità che hanno il futuro della moda tra le mani:
#1 L’importanza dell’individualità
Alessandro: “Oggi i clienti sono cambiati, sono pronti a scegliere da soli ciò che vogliono indossare e in che modo mixare i capi. L’idea del total look non è più al passo con i tempi”.
Demna: “Le persone ormai cercano l’individualità. Non vogliono apparire come i protagonisti di una campagna pubblicitaria. Questo desiderio riflette una necessità di sentirsi diversi, unici”.
#2 Capi oltre la stagionalità
A: “Per me, nulla è vecchio. Se un vestito è bello, ed è molto personale, credo possa vivere per sempre. Non mi importa a quale stagione appartenga”.
D: “Se ami un capo lo ami e basta, a prescindere dalla stagione a cui appartiene. Per Vetements scrivo le stagioni sulle etichette e i venditori hanno cominciato a dirmi: ‘non puoi farlo, le persone non vorranno più indossare i capi la stagione dopo’ – io credo che invece lo vorranno, è un valore aggiunto. Qualcosa che continua, perché funziona”.
#3 Abiti veri come punto di partenza
D: “Non mi ricordo l’ultima volta in cui ho fatto uno sketch”
A: “Neanche io”
D: “Ora annoto le mie idee sull’iPhone, perché non ho un taccuino con me […] I vestiti sono tridimensionali, è impossibile disegnarli adeguatamente. Odio lavorare sui manichini, preferisco avere una persona reale, così posso capire come un vestito reagisce al movimento. Parto sempre da un abito, e poi lo taglio. Distruggo molti abiti, per crearne altri”.
#4 Il ruolo della stylist
A: “Non è che sono contro all’idea di avere una stylist, è che non ho una persona così vicina a me con la quale condivido così tanto. È la mia storia, adoro occuparmi dello styling dello show. È il mio modo per concretizzare le mie idee ed è impossibile tradurlo a un’altra persona. È una visione: chi può avere la mia stessa visione?”
D: “Quando lavoro con Lotta [Volkova, stylist di Vetements e Balenciaga] lei sa le stesse cose che so io sulla collezione, sa cosa voglio. Siamo molto vicini, ci conosciamo, siamo amici. Non è come se l’avessi assunta per occuparsi di questo”.
A: “Quindi non è una stylist – è una tua amica. Questo è molto diverso”.
#5 Collezioni genderless
A: “Dico sempre di non aver inventato nulla. È semplicemente il modo in cui il mondo funziona oggi. Non posso ignorarlo”.
D: “L’ultimo show di Vetements si è concluso con due look identitici: uno indossato da un ragazzo e uno da una ragazza. Non ci abbiamo dovuto riflettere troppo, glieli abbiamo provati e stavano incredibilmente bene a entrambi. È qualcosa di assolutamente normale al giorno d’oggi. È la società”.