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Fenomenologia dell'Assistente

Fenomenologia dell'Assistente

C'era una volta un giovane stagista che lavorava nel retrobottega della moda, lontano dalle luci dei riflettori e all'ombra dei suoi superiori, per accrescere la sua esperienza e iniziare a muovere i primi passi lungo la salita del duro lavoro. C'era e c'è ancora quello stagista, ma la storia è un po' cambiata.

Toglietevi dalla testa l'immagine degli assistants che si limitano a portare il caffè all'intero ufficio o a fare fotocopie: oggi il loro ruolo sta prendendo una piega diversa e, forse, inaspettata. 

Se inizialmente essere uno stagista presso un'azienda era una tappa obbligata, ma priva di attrattiva, da qualche anno a questa pare le cose sembrano essere cambiate in positivo.  Un posto come stagista o, meglio ancora, assistente è ormai bramato da chi vuole muovere i primi passi nello spietato mondo che chiamiamo Moda

I motivi di tale cambio di rotta sono chiari: se vuoi arrivare da qualche parte, devi pur iniziare da zero. Parafrasando, è ormai ben chiaro a tutti che la gavetta, che ci piaccia o no, è un punto di partenza fondamentale, è un primo mattoncino nel nostro sacrosanto Curriculum Vitae che, se ben assestato, darà quasi sicuramente i suoi risultati edilizi. Quindi, tutte quelle parole che i vostri professori del liceo spendevano sull'importanza dell'esperienza sul campo, sull'iniziare dal basso, sull'umiltà nell'accettare i primi lavori e bla bla bla... forse non erano così sbagliate.

 

Tuttavia, c'è un altro aspetto da non sottovalutare nel processo della rivalutazione di questa figura, ovvero la spinta che, secondo me, i media hanno dato nel lanciare l'assistant sotto gli sguardi del pubblico. 

Diciamoci la verità, quanti di voi hanno seguito la vita di Lauren Conrad a The Hills? E ditemi, quanti di voi si sono appassionati alle sue avventure come intern presso Teen Vogue? Ma, soprattutto, quanti di voi hanno poi sognato di fare lo stagista presso una redazione di moda? Io alzo la mano colpevole. 

Dopo Lauren Conrad, quel sottobosco indefinito di assistenti e interns che popola silenzioso il mondo della moda ha iniziato a risplendere di luce propria. Ne è un'ulteriore prova il film Il Diavolo Veste Pradadi cui non vi racconterò la trama perché suppongo non sia più necessario nel Duemilaquindici – che ha sicuramente aiutato a far conoscere, nel bene e nel male, il ruolo dell'assistente. Figura professionale che ha nel tempo guadagnato visibilità e fascino, visto che anche il cinema non è riuscito a togliergli gli occhi di dosso come dimostra il film di breve uscita The Intern, con Robert De Niro nel ruolo di uno stagista agli ordine di Anne Hathaway presso un'azienda di e-commerce. 

 

Quindi, il duro lavoro dell'assistant non sembra più così ingrato e sconosciuto, ma anzi è ormai ampiamente omaggiato con il giusto valore che merita. Non è una coincidenza se di recente molti stilisti – e non solo – sembrano fare a gare a chi ha maturato più esperienza degli altri come stagisti o assistenti prima di raggiungere l'Olimpo degli Dei della Moda

Il fenomeno non risparmia nessuno, tutti vogliono raccontare la loro storia romantica di quando erano un nessuno qualunque alle dipendenze di un grande brand, mettendo in pubblica piazza i loro umili albori di cui andare fieri. La lista è molto lunga, tra i più famosi troviamo: Alexander Wang che ha lavorato presso Marc Jacobs e Derek Lam, Tom Ford che ha mosso i primi passi da Chloé, Rodolfo Paglialunga come intern da Prada e Isabella Blow che fu assistant di Anna Wintour, e perfino Kanye West che ha dichiarato di aver trascorso quattro mesi come stagista da Fendi. Numerosi anche i casi in cui l'allievo ha superato il maestro, come Sarah Burton, assistente di Alexander McQueen, diventata direttrice creativa del marchio dopo la morte dello stilista, e Alessandro Michele, ex-assistente di Frida Giannini e neo-direttore creativo di Gucci. 

 

Cosa ci insegnano tutte queste belle storie a lieto fine? Che il lavoro come stagista porta i suoi frutti e le sue soddisfazioni, che anche il più grande fashion designer del momento ha sicuramente trascorso parte della sua carriera iniziale come semplice – lungi da me ogni connotazione negativa del termine – intern in qualche blasonata maison di moda. 

Ma pensandoci meglio, è davvero così “semplice” il ruolo dell'assistente? Non credo proprio. Come dicevo in apertura, chi lavora dietro le spalle dei grandi nomi ha sicuramente un ruolo di massima importanza, se non addirittura fondamentale, all'interno della macchina della moda. Organizzare, aiutare, essere disponibile in qualunque momento e sempre all'altezza delle richieste, e dover sbrigare tutte quelle tediose mansioni che vengono volentieri rimbalzate agli stagisti. 

Del mio stesso parere sono Xim Ramonell e Brais Vilas che hanno riconosciuto il valore degli assistenti nella moda al punto di avergli dedicato un magazine, Assistant appunto. La rivista vuole essere una vetrina per tutti gli assistenti che lavorano in questo settore, raccogliere le loro esperienze e i loro punti di vista, per dare il giusto spazio alla loro figura professionale e per costruire un discorso sulla moda da un punto di vista inedito. 

Nel primo numero troviamo interviste a Elia Quadri e Bruno Bugiani, rispettivamente assistenti di Giambattista Valli ed ex-assistente di Gianni Versace, a Brendan Burke, assistente di Demarchelier, e a Earl Steinbicker, ex-assistente di Richard Avedon. 

 

Quindi, non più piccolissimi nomi scritti nell'ultima pagina di un fashion editorial, non più braccio destro nascosto dietro la schiena, gli assistenti sono invece nomi da segnare sull'agenda, da seguire e conoscere quasi quanto – oppure di più? – i loro superiori. 

Molti di loro accompagnano il loro lavoro di assistant ad altri progetti paralleli freelance degni  d'attenzione e spesso calamitano l'attenzione del pubblico, diventando loro stessi trendsetter da cui prendere inspirazione.

Ne è un esempio Ursina Gysi, assistente di Camille Bidault Waddington, ormai vera streetstyle star acclamata e amata da tutto il Web che, tra l'altro, realizza da sola i capi che indossa. Un caso che dimostra come ormai gli assistants non siano più degli anonimi aiutanti alle dipendenze di altisonanti nomi, ma che posso imporsi all'attenzione del pubblico ancora prima di consolidare la loro carriera. 

Consapevolezza del proprio ruolo, maggior fascino per il pubblico e un pizzico di romanticismo in stile “sogno americano”: sono queste le caratteristiche che hanno segnato lo sviluppo dell'immagine dell'assistente.

Dunque, il 2015 ha definitivamente consacrato questa figura professionale, grazie alla crescente attenzione da parte dei media e degli habitué del settore, che è diventato a tutti gli effetti un lavoro di prim'ordine riconosciuto, lodato e, perché no, aspirato da chi vuole affacciarsi nel settore moda. Occupazione, tra l'altro, che sembra anche aver perso il suo status di lavoro temporaneo, diventando sempre più un sodalizio longevo tra gli interessati. Ovviamente, prima o poi tutti devono lanciarsi dal trampolino, ma il tuffo spesso sembra posticipato volentieri e l'assistant diventa un buon punto di arrivo, non più solo di partenza. 

Se ancora avete dei dubbi nel rivalutare un posto come intern, vi ricordo solo che anche Kim Kardashian ha iniziato come assistente di Paris Hilton.