
Perché Shein sta provando a ripulire la sua immagine in Europa
Dopo un anno di profitti in calo, l’azienda vuole assicurarsi un punto d’appoggio sul continente
24 Marzo 2025
La scorsa settimana, Shein ha annunciato una nuova iniziativa a Milano. In occasione della Giornata Mondiale della Creatività e dell'Innovazione, il brand di fast fashion cinese organizzerà un «esclusivo evento», citiamo testualmente la press release, nel Palazzo dei Giureconsulti, davanti al Duomo di Milano, per «celebrare la creatività italiana tra innovazione e design». Una mossa che solleva diversi interrogativi specialmente considerato che la relazione tra il mega-brand e il mondo della creatività e della moda è più parassitaria che collaborativa, e che i vertici del brand, presentandosi al pubblico Europeo in occasione di una valutazione in borsa che viene rimandata di mese in mese, non stanno brillando per trasparenza e disponibilità. Risale solo alla settimana scorsa, ad esempio, l’accusa mossa dal gruppo Tapestry a Shein di mettere in vendita borse di Coach contraffatte – non copiate, non “dupe” ma vere e proprie contraffazioni. Sempre alla scorsa settimana risale il richiamo di una partita di pigiami per bambini venduti da Shein in Canada che sono risultati infiammabili. A inizio mese il Daily Mail pubblicò un’inchiesta che accusava l’algoritmo AI dell’azienda di aver copiato il lavoro di una serie di designer indipendenti inglesi per prodotti di intimo, costumi e accessori. A febbraio, non solo un audit interno all’azienda aveva scoperto due casi di lavoro minorile ma un’indagine in Corea del Sud, poi pubblicata su Elle, ha rivelato la presenza di numerosi elementi chimici tossici negli abiti del brand. Questo senza menzionare come un articolo di Reuters dello scorso giugno menzionava almeno 90 cause legali intentate a Shein per plagi, infrazioni di copyright e via dicendo. Ma perché il brand sta provando così furiosamente a ripulire la propria immagine?
Come spiega un lungo articolo del magazine Follow The Money, sono anni che Shein ha messo in libro paga una serie di politici e lobbysti prezzolati per promuovere l’agenda del mega-brand presso le principali corti politiche europee: il consumato politico tedesco Günther Oettinger, l’ex-ministro dell’interno francese Christophe Castaner, i due inglesi Kamella Hudson e Peter Mandelson (quest’ultimo è un ex-ambasciatore inglese in USA, fra l’altro) e l’attuale capo dell’FBI Kashyap “Kash” Patel che si è dimesso ma detiene ancora milioni di dollari in azioni nell’azienda. Gli sforzi di tutti questi lobbysti, però, non hanno ottenuto enormi risultati. In effetti, Shein ha affrontato un anno finanziario difficile, con un calo dei profitti di quasi il 40% nel 2024, come riporta il Financial Times, vedendo il suo utile netto ridursi a circa 1 miliardo di dollari, un valore molto più basso dei 4,8 miliardi di dollari inizialmente previsti per l'anno. Nonostante un aumento del 19% delle vendite, che hanno raggiunto i 38 miliardi di dollari, l'azienda ha faticato a fronteggiare la crescente concorrenza di Temu e altre pressioni del mercato con un ultimo trimestre assai difficile che ha ulteriormente aggravato le difficoltà di Shein nel quotarsi sulla borsa di Londra. Di recente, il nuovo CEO dell’azienda, Donald Tang, che ha assunto il ruolo nell’agosto 2023, ha provato a risolvere i problemi di immagine dell’azienda in prima persona, attraverso una serie di lunghe interviste nelle principali pubblicazioni economiche europee e americane in cui ha provato a ristabilire il tono della narrazione. Ha detto a The Times di voler «abbracciare la responsabilità e la trasparenza di essere un'azienda pubblica» e al francese Le Journal du Dimanche: «Non siamo un'azienda di fast fashion. Il fast fashion impone ai consumatori tendenze definite dal marchio, con una produzione di massa. Il nostro modello si basa sulla produzione su richiesta: produciamo ciò che i clienti vogliono indossare».
Ad ogni modo, anche se secondo GlobalData proprio Shein è stato il brand con la maggiore espansione di mercato dell’anno scorso insieme ad adidas e Chanel, nientemeno, il calo della redditività mette in mostra gli ostacoli che Shein sta affrontando ottenere l'approvazione normativa per la sua quotazione a Londra. L'azienda era stata valutata 66 miliardi di dollari nel suo ultimo round di finanziamento nel 2023 ma come racconta Jing Daily, investitori e altri stakeholder ora spingono per una valutazione ancora più bassa, con alcuni che suggeriscono una cifra intorno ai 30 miliardi di dollari. Secondo Donald Tang, che ne ha parlato al Financial Times, su questa valutazione ci sarebbero state «zero discussioni». Ad ogni modo, un taglio alla quotazione di mercato potrebbe facilitare il completamento dell’IPO, potenzialmente nella prima metà dell'anno ritardata a causa dell’evoluzione delle politiche commerciali negli Stati Uniti che al momento però è sospesa. E qualsiasi rinvio dell’IPO oltre luglio costringerebbe Shein a presentare nuovamente i documenti alle autorità britanniche. Inizialmente, infatti, l'azienda aveva cercato di quotarsi a New York alla fine del 2023, ma ha spostato il focus su Londra dopo aver incontrato resistenza da parte della Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. Ora deve affrontare l'esame delle autorità di regolamentazione non solo nel Regno Unito, ma anche in Cina, come raccontato da The Economist. La concorrenza con Temu ha complicato ulteriormente la posizione finanziaria di Shein, che ha sottratto alcuni fornitori a Shein e fatto aumentare i costi per la logistica e il marketing, costringendo l’azienda a rivedere le proprie strategie. Per contrastare la minaccia di Temu, Shein ha temporaneamente ampliato la propria gamma di prodotti oltre la moda alla fine del 2023, ma questa mossa ha influito negativamente sulla redditività portando il brand a rifocalizzarsi sul proprio core business.
of course shein has nice pieces cause they STEAL from actual fashion designers…
— the wizard (@iAmDrugzz) February 16, 2025
Ora, la battaglia che Shein sta combattendo si muove su due fronti. Quello finanziario e legale si muove tra le alte sfere della politica – ma in effetti non è che il riflesso del più ampio pregiudizio che il pubblico nutre nei confronti di un brand piombato sul mercato negli ultimi anni in modo tanto prorompente da spedire in bancarotta alcuni rivali nel segmento dell’abbigliamento sottocosto (Forever21 è fallito soprattutto per la concorrenza di Shein e Temu) ma che è anche rapidamente diventato sinonimo di abbigliamento scadente e un sistema di produzione molto poco chiaro. Proprio questo pregiudizio è il secondo fronte dello scontro. Persino il fondatore dell’azienda, Xu Yangtian più noto come Chris Xu, è ancora considerato una figura avvolta dal mistero e dalla segretezza – e forse per questo il nuovo CEO è stato così sollecito nel fornire all’azienda un volto pubblico e rassicurante. La strategia di riposizionamento di Shein basata sulla penetrazione nel segmento di mercato dei designer emergenti, a cui viene fornita una piattaforma e visibilità, serve forse a lavare le mani di un’azienda diventata così enorme sul mercato sfruttandone al massimo le più basse dinamiche. E che Shein voglia e possa organizzare celebrazioni di innovazione e creatività (a onor del vero, il loro sistema di produzione e il loro algoritmo dev’essere qualcosa di onestamente geniale, per quanto poco sostenibile) è una duplice testimonianza del problema che in Occidente abbiamo con la moda: da un lato c’è una domanda da parte del pubblico resa famelica da strategie marketing continue pensate per rendere desiderabile un modello di consumo continuo inizialmente mirato a prodotti che grandissima parte del pubblico non può più permettersi a fronte di una qualità che scende; dall’altro una scena di giovani creativi così ultrasatura e desiderosa di un “biglietto d’ingresso” da doversi rivolgere proprio a Shein per poter emergere. Ma in un mondo dove i soldi sono tutto, chi ne ha di più ha semplicemente ragione perchè tutto è in vendita - e può anche permettersi di ospitare eventi nel cuore della capitale della moda italiana.