A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

Vedi tutti

Chi andrà da Balenciaga adesso?

È Pieter Mulier? È Martine Rose? O forse una terza, segreta opzione?

Chi andrà da Balenciaga adesso? È Pieter Mulier? È Martine Rose? O forse una terza, segreta opzione?

La moda, come la natura, odia un vuoto e si affretta a riempirlo. Ma chi può riempire il vuoto che Demna lascerà da Balenciaga? Nel corso dell’ultimo decennio, il brand è diventato il più deliziosamente ambiguo della moda contemporanea – ogni suo pezzo, ogni sua collezione era una riflessione sulla vera natura del lusso, della bellezza, la commercialità. Il cliente di Balenciaga poteva essere tanto un fine discernitore quanto un modaiolo assetato di loghi, un intellettuale in cerca di un drammatico cappotto ma anche un raver che acquistava le più aggressive sneaker pensabili. Eppure di un cambiamento si avvertiva il bisogno: dopo il pretestuoso scandalo sulle pubblicità scoppiato nel novembre 2022, l’aria era cambiata. All’improvviso, e con reazioni diverse, sia la stampa che il pubblico iniziarono a indicare criticità su cui prima si sorvolava: le collezioni sempre uguali, l’eccessivo affidamento ai loghi, le collaborazioni pro forma, l’eccessiva semplicità di design venduti a prezzi sempre più alti. Non che Balenciaga avesse smesso di piacere – aveva però smesso di sorprendere. In tal senso, il rimescolamento di carte fatto dai vertici di Kering ha senso: Gucci aveva bisogno di una “fashion authority” e Balenciaga, semplicemente, di una rinfrescata. E ora che il brand ha finalmente recuperato il suo lustro, perché non portarlo verso territori meno ironicamente lussuosi, ma anzi più seri e concreti? Dalla girandola di pettegolezzi che si inseguono nella moda, sono emersi due nomi: Pieter Mulier e Martine Rose. Ma non manca nemmeno una terza opzione su cui al momento però non circolano rumor.

Ciascuno dei due nomi ha senso per i propri motivi. Mulier, ad esempio, è passato dall’essere il braccio destro di Raf Simons a dirigere Alaïa nel 2021, riportando il brand sotto i riflettori con una certa prepotenza e riscrivendone completamente il fascino per un’intera, nuova generazione. Mulier proviene dalla stessa scuola di Demna, ovvero la leggendaria Royal Academy of Fine Arts di Anversa, e con lui condivide la medesima attrazione verso silhouette e drappeggi drammatici – non gli manca nemmeno una vena di eccentricità, ma sempre disciplinata da un forte senso della sintesi che dà grande coesione alle sue collezioni. Nel corso dei suoi anni nel brand, poi, Mulier ha creato anche una it-bag, la Teckel, e un paio di ballerine ricopiate a tutto spiano da qualunque brand pensabile. Il designer insomma sarebbe perfetto se il management di Kering volesse imprimere al brand una svolta più “seria” e bon ton preservandone il sapore avant-garde, specialmente in vista della produzione Haute Couture che potrebbe trovarsi a dover firmare. 

Altra figura nel cui nome più che altro si spera è Martine Rose. Tutti ormai sanno quanto fu strumentale, per Balenciaga, la consulenza di Rose nei primi anni della reggenza di Demna. La designer ha sicuramente dimostrato di saper toccare le medesime corde su cui Demna ha suonato per anni e la sua estetica per certi versi grezza e caustica, la sua attitudine a definire silhouette precise ridisegnando l’architettura di capi più classici e la sua capacità di creare ricchi contrasti tonali e stilistici nelle sue collezioni l’hanno resa negli anni una designer di culto – specialmente nella nativa Inghilterra. Rose saprebbe senza dubbio dare una scossa alla proposta commerciale del brand anche se un potenziale punto interrogativo è la sua disponibilità, se lo volessero le alte sfere di Kering, a piegare il proprio immaginario quotidiano verso svolte più signorili. Tra magliette ispirate al calcio, un forte legame alle grafiche stampate sui vestiti e costanti riferimenti sportswear, l’immaginazione di Rose sembra però ammiccare a segmenti giovanili del mercato che forse Kering, desiderosa di elevazione, potrebbe non gradire. Non di meno, pur nella sua apparente lontananza dal mondo dei flash e delle celebrità, Rose è stata in grado di creare una delle sneaker collaborations più forti del 2024, ovvero la Nike Shox MR4, e le sue creazioni sono state protagoniste tanto degli outfit virali di Thimothée Chalamet quanto nell’apprezzatissimo look di Kendrick Lamar al Super Bowl. Certamente Rose rappresenterebbe (almeno sul piano del concetto) la più immediata prosecuzione del lavoro di Demna, specialmente per l’aspetto più commerciale del brand.

Volendo raccogliere tutti i nomi che si fanno per Balenciaga al momento, si dovrebbe citare anche John Galliano, che sarebbe magnifico specialmente per la Haute Couture. Galliano è una delle ultime mega-star della moda, una di quelle figure cross-generazionali che non si può non voler vedere a lavoro in un brand leggendario quanto Balenciaga - e in effetti nel lasciare Maison Margiela, il designer inglese ha scritto nella sua lettera d'addio: «Le voci... Tutti vogliono sapere e tutti vogliono sognare. Quando sarà il momento giusto, tutto sarà svelato». Lasciando cioè presumere che la sua carriera non fosse ancora giunta al termine. Come notato da diversi utenti dei social media, poi, molta della produzione recente di Galliano richiama, per linee e silhouette, i lavori del fondatore della Maison ma, anche se così fosse, rimane forse un ultimissimo dubbio su quanto il designer sia in grado di dialogare con la cultura pop nella stessa maniera in cui Demna si è dimostrato capace e, forse, nella maniera che molti clienti ormai si attendono dal brand. L'idea è ovviamente allettante, Galliano è il designer superstar per eccellenza e il suo track record è fortissimo in termini di vendite: Maison Margiela è cresciuta enormemente sotto le sue mani - anche se in questo successo ha giocato un'enorme parte la strategia commerciale concepita da Renzo Rosso e dai suoi manager.

Le ragioni del cambio creativo, in effetti, erano tanto creative quanto commerciali: dopo essere stato il secondo brand di Kering per importanza dopo Gucci, Balenciaga è stato sempre più relegato alla sezione “Other Houses” nelle dichiarazioni finanziarie del brand. Non parlare chiaramente delle sue vendite e della sua crescita, accorpando il brand a Brioni, Alexander McQueen e al reparto gioielleria, significa dire che le vendite, seppur robuste o comunque stabili, non erano così degne di nota da meritare lo stesso paragrafo a parte che invece avevano Gucci, Saint Laurent e Bottega Veneta. Per imprimere una svolta al brand e alle sue vendite, è dubbio che Kering decida di investire in un altro creativo esordiente. L’esperimento della nuova voce creativa da Gucci non è andato benissimo e i ritmi della moda sono troppo spietati: serve andare a colpo sicuro e centrare il bersaglio senza esitazioni. La cosa buona, però, è che Demna non sta lasciando una casa in disordine – anzi. Ma il prossimo inquilino sarà all’altezza?