
L’ingresso di Demna da Gucci è una questione di “fashion authority”
Un nuovo criterio per la scelta dei direttori creativi
14 Marzo 2025
Gucci non è solo un famoso brand di moda, ne è solo il più grande brand di Kering. Gucci è il più importante brand di lusso italiano al momento – almeno in termini di pura stazza, di volume che occupa tanto sul mercato che nella coscienza collettiva. Un po’ come una stupenda, velocissima auto da corsa però, Gucci ha bisogno di un pilota adeguato. Non solo per essere “guidato” con efficienza ma per essere riconosciuto per la sua importanza: in breve, è una questione di autorità. «La priorità», ha detto a BoF, la mega-manager di Kering Francesca Bellettini, «è quella di dare autorità al marchio nel campo della moda, perché in questo modo si otterrebbe un'elevazione ancora maggiore». Insomma, ciò che a Kering interessa recuperare non sono solo le vendite ma, ci si passi il termine, il timore reverenziale e la soggezione che ai tempi di Michele il brand sapeva ispirare. È ciò che potremmo definire “brand authority”, parafrasando le parole di Bellettini, e cioè lo status di un brand che definisce le tendenze piuttosto che seguirle. Sorella maggiore della "brand stability" e cioè dell'immagine di sicurezza e solidità che un marchio possiede quando non cambia direzione ogni sei mesi e possiede una coerenza di fondo che lo rende un punto di riferimento, l’autorità di un brand è qualcosa di più forte e di più grande della sua autorialità: se quest’ultima riguarda la dimensione più intima della visione creativa, la prima riguarda la capacità di un brand di essere, per assenza di un termine migliore, ammirato o, come dicevamo prima, riverito. Lo stesso motivo per cui, in fondo, Blazy è stato assunto da Chanel. «Elevazione significa esecuzione eccezionale, ma anche creatività eccezionale», ha chiosato il CEO Stefano Cantino – come a dire, finalmente, che Gucci non ha bisogno di “casual grandeur” o di trovarsi affibbiato il tremendo, vuoto aggettivo di “glamour” ma ha bisogno che le sue collezioni siano un capolavoro. Per citare Breaking Bad: «Basta con le mezze misure». Ed è dunque per questo che Demna è stato scelto.
E ad aggiungere tensione all’intero affare c’è ovviamente l’enorme interrogativo di come sarà il suo Gucci. Molti commentatori si sono già messi le mani ai capelli. In un divertente scambio di battute visto ieri su X, un utente disperava dicendo: «Tute, abiti di carta stagnola e vestiti sporchi da Gucci» al che il giornalista indipendente Louis Pisano ha replicato: «Qualcuno le ricordi cosa faceva Alessandro Michele da Gucci». In effetti, come noi stessi avevamo sottolineato parlando dei recenti show della fashion week, Demna e Alessandro Michele sono due designer post-moderni che lavorano forse in modo speculare alle estremità dello spettro del “normale”: il primo prende la sciatteria del quotidiano e la eleva attraverso un ripensamento ironico dei branding, una silhouette architettonica e un’elevazione di prodotti molto pop e molto legati a moderne e future subculture; il secondo applica il medesimo filtro post-moderno a un tipo di guardaroba prezioso e demodé che, sempre nell’articolo precedente a cui ci riferiamo, avevamo definito “gli abiti della contessa”. Entrambi erano ugualmente ironici e idiosincratici – anche se, prevenendo le più ovvie critiche, il CEO Cantino ha rassicurato: «La sua visione per Gucci non sarà quella che è stata fatta per Balenciaga. La sua intenzione è di fare qualcosa che sia giusto per Gucci». Commentatori, investitori e analisti non hanno amato, non tanto la nomina in sé, ma proprio la suspance che ha generato: i titoli di Kering sono scesi dell’11% circa stamattina mentre diversi esperti del settore hanno ribadito in modo alquanto deciso a WWD che la formula di Balenciaga non può essere applicata così com’è a Gucci – che è sì un brand molto più bon ton del “nuovo” Balenciaga ma che (e questo secondo noi) rappresenta ancora una sorta di tela bianca o contenitore vuoto capace di ospitare qualunque visione che sia alla sua altezza.
someone quickly remind her what Alessandro Michele was doing at Gucci. pic.twitter.com/LacfhqKxoo
— Louis Pisano (@LouisPisano) March 13, 2025
Se questo azzardo deve funzionare, e deve farlo, sia Demna, che l’intero management di Gucci che quello di Kering in generale devono alzare il livello del proprio gioco. Nel corso dei mesi futuri (Demna inzierà da Gucci in estate dopo l’ultimo show di Haute Couture di Balenciaga fissato per il 9 luglio) servirà sempre qualcuno nella stanza che sappia tirare le briglie quando è necessario e sia dotato di quel buon senso comune nel dare la luce verde i progetti da far sì che il pubblico non possa dire: «Vorrei sapere chi era nella stanza quando hanno deciso di fare così» o «Chi è che ha visto quest’idea e ha dato l’ok?». Due frasi che negli ultimi due anni sono state molto ripetute da tutti, più o meno a mezza voce, di fronte alle campagne, alle collezioni e alle iniziative pubbliche del brand. Non serve ripercorrere i diversi passi falsi che il brand ha fatto e che hanno progressivamente spento l’entusiasmo del pubblico – ma serve dire che, per riaccenderlo, qualunque sia il risultato finale, dev’essere uno smash senza se e senza ma. La barra è alta, altissima – così come la posta in palio. Ed è per questo che a Gucci serviva non più un “secondo in comando” ma una vera autorità. E l’impressione più forte che si ha al momento è che questa nozione, quella della “brand authority”, finirà per diventare il tema dominante dell’industria nei prossimi mesi o anni. In un mercato sempre più saturo, in cui stampa e pubblico si domandano non se un brand funzioni ma se la sua stessa presenza sul mercato sia giustificata e con executive che forse si sono resi conto di non poter sempre seguire il classico manuale dell’elevazione, proprio l’autorità di un certo brand e di un certo designer saranno fattori sempre più determinanti nel mantenere viva una rilevanza capace di alimentare le vendite ma soprattutto di dar loro un senso. La moda di domani non vuole altri merchandiser: c'è spazio solo per i geni.