
Bentornato, Burberry
Nuovo CEO, nuovo vibe, nuovo amore per Daniel Lee
25 Febbraio 2025
Lo show di Burberry che ha chiuso ieri la London Fashion Week (che generalmente ha visto un ritorno alla forma della scena inglese) è stato la dimostrazione di quanto un cambio di CEO possa influenzare l’estetica di un brand e il lavoro del suo direttore creativo. Fin dal suo arrivo lo scorso luglio, Joshua Schulman ha imposto al grande brand britannico un brusco e provvidenziale cambio di rotta: via i modernismi fuori luogo e le tentazioni della nightlife, via lo streetwear e le inclinazioni avant-garde e spazio, invece, alla tradizione di Burberry. Il brand inglese nato nel 1856, noto per i suoi trench e le sue sciarpe, il cui heritage nel tempo si è poi esteso al vasto mondo dell’outerwear inglese e della maglieria, ha proprio in queste categorie la sua ricchezza – perché spingerlo in territori che non gli competono? E ieri sera questo ritrovato senso di tradizione ha rappresentato il culmine di una correzione di percorso che tra campagne più “sincere” e meno glam e un rinnovato focus sulle vere categorie forti di Burberry, ha finalmente concesso al talento di Daniel Lee di brillare. La collezione presentata ieri è stata finalmente in linea con l’identità di Burberry e portava con sé un distinto, familiare sapore dello stile di Christopher Bailey (la sua collezione maschile FW08 rimane ancora un paragone di eccellenza per il brand) ma con aggiornamenti e silhouette che non solo rendevano distinguibile la firma di Lee ma evitavano che questo allineamento all’era d’oro del brand suonasse ripetitivo. In altre parole, Burberry è tornato.
Il dettaglio più memorabile e minimo della collezione è stato forse il look di Kit Butler, tra i primi a uscire, in cui è stato mostrata una nuova maniera di esibire il Burberry check: da sotto un pesante maglione con il collo a bottoni si vedeva il motivo far capolino da sotto l’orlo inferiore e da sotto le maniche tirate in alto – un branding estremamente sottile che porta freschezza a un motivo normalmente molto esibito, mentre altre variazioni del check si ripetevano in colori molto scuri su scarpe, pantaloni, maglioni e ovviamente sciarpe. La presenza frequente della rosa blu, appuntata sui baveri, ma anche presente come una stampa su una t-shirt sotto un cappotto foderato di pelliccia sembrava invece una maniera di Lee di dirci di non avere sconfessato le sue passate collezioni – così come i molti cenni ai design evidentemente favoriti da Lee presenti sotto forma di poncho oversize interamente ricoperto di ciocche di lana che cadevano in lunghe trecce; ma anche le maxi-sciarpe e i vasti parka di pelle lucida con collo in pelliccia e ovviamente tutti i look finali e i vestiti lunghi ricoperti di lunghissime frange. Unica probabile sbavatura, in realtà in linea con lo stile boho-chic della collezione, era un eccesso di look in velluto ricoperti di stampe simil-damasco che richiamavano sì l’eccentricità inglese ma risultavano un po’ pesanti, quasi tagliati da stoffe che altrimenti sarebbero servite per la tappezzeria.
Parlando di tappezzerie, se il brand mettesse in vendita i grandi plaid di lana stampati con i capolavori dei grandi paesaggisti inglesi che drappeggiavano gli interni della Tate Gallery ieri sera recupererebbe presto le perdite finanziarie causate dal vecchio CEO. Tutti i restanti capi, e dunque la grandissima parte della collezione, invece, rappresentava un solido richiamo a una tradizione riconoscibile per gli amanti di Burberry Prorsum, tornata insieme al look di apertura dello show: la giacca corta, compatta e caldissima; gli alti cuissard in cui si inserivano i pantaloni equestri gessati; la stupenda parata di monumentali cappotti; l’opulenza di un trench sagomato nel velluto o nella pelle – uno di questi, in cuoio rosso borgogna, sovrapposto a quella che sembra una tracksuit gialla ha offerto una combinazione di colore forse inattesa nella palette generale della collezione ma sicuramente interessante. Un altro cenno allo stile di Bailey erano le giacche e i cappotti da cui fuoriescono chiome di pelliccia a metà tra il militare e il cavaliere anglo-sassone – cavaliere che, in effetti, si trovava alla sfilata come nuova, ufficiosa mascotte del brand e si è anche fatto un selfie con Anna Wintour.
Armigeri a parte, lo stile di Lee, con i suoi grandi baveri strutturati, il layering dei colletti e quel senso delizioso per la texture degli abiti ha finalmente brillato come doveva, di certo indirizzato meglio dalle direttive di un CEO che sa dove puntare le sue scommesse, ma ha anche introdotto sottili tocchi di styling e design particolarmente interessanti: molti look ad esempio avevano colletti di camicie visibili da sotto i cappotti che presentavano un design più rettangolare e un profilo a contrasto, tagliati in una seta che ricordava i pigiami; ma anche una cintura di cuoio messa all’esterno che fermava insieme un cappotto e una mega-sciarpa. Come ultima considerazione, al di fuori dello show, è che, vista la collezione, vorremmo che il rumor secondo cui Daniel Lee passerà da Jil Sander fosse falso – ci sono voluti due anni al designer per trovare il tono giusto su Burberry e proprio ora che l’ha trovato un suo addio sarebbe un peccato. Ma per sapere che cosa succederà non serve che attendere. Nel frattempo godiamoci questo momento di rinnovata speranza per l’amatissimo brand inglese.