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Ci siamo dimenticati di Tom Ford da Yves Saint Laurent

Il drama, le polemiche e le critiche al genio che risollevò Gucci

Ci siamo dimenticati di Tom Ford da Yves Saint Laurent Il drama, le polemiche e le critiche al genio che risollevò Gucci
YSL Fall 2000 fashion show
YSL Spring 2001
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YSL Spring 2001

Quando Tom Ford fu nominato direttore creativo di Yves Saint Laurent nel 1999, le aspettative erano altissime. Reduce dai successi ottenuti con Gucci, Ford era visto come un rivoluzionario capace di trasformare un brand in declino in un'icona globale. Tuttavia, il suo passaggio alla storica maison francese divenne uno dei capitoli più controversi della sua carriera, segnato da tensioni creative, divergenze filosofiche e dalla sfida di bilanciare innovazione e rispetto per l’eredità. Yves Saint Laurent, fondatore della maison e figura leggendaria della fashion industry, aveva costruito un universo estetico basato su eleganza e poesia. L’arrivo di Ford, con il suo approccio diretto e aggressivo, rappresentò una rottura evidente. Saint Laurent stesso non nascose il disappunto, definendo il lavoro di Ford come un danno alla sua eredità in un’intervista a WWD: «Finalmente Ford se ne va. Ho sofferto per quello che ha fatto con il mio nome. Per fortuna i danni non sono irreversibili». Quali erano le premesse del suo ingresso? Alla guida di Gucci, Ford aveva trasformato il brand in un colosso del lusso, fondendo seduzione e modernità. Nel 2004, Gucci raggiunse un fatturato di 3,2 miliardi di euro, consolidando il suo status di leader nel settore. Ford e Domenico De Sole, allora CEO del Gruppo Gucci, puntavano a replicare lo stesso modello economico e creativo presso la maison francese. Nel 1999, il Gruppo Gucci acquisì Yves Saint Laurent per 1 miliardo di dollari, assumendo il controllo delle collezioni prêt-à-porter, mentre il fondatore e Pierre Bergé mantennero la gestione delle linee di alta moda e profumi.  

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YSL Fall 2000 fashion show
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La sfida più grande per Ford era reinterpretare l’estetica di Saint Laurent senza tradirne l’essenza. La sua prima collezione, presentata nel 2000 al Museo Rodin di Parigi, era molto attesa: il debutto dell’anno. Saint Laurent, partito per Marrakech, era assente, mentre Bergé evitò dichiarazioni. La critica Cathy Horyn sul New York Times scrisse: «La collezione era buona, ma non eccezionale; ciò che conta di più è che Ford è riuscito a trovare un modo, attraverso il denso vocabolario di Saint Laurent, per esprimere la sua voce». In passerella, Ford evitò riferimenti evidenti, come le celebri camicette con fiocco, reinterpretando elementi classici con un tocco moderno. Le giacche avevano maniche ampie e fasce arricciate, evocando la Saint Laurent degli anni ’80, ma con un’energia più contemporanea. Il bianco e nero dominavano con pochi tocchi di colore, creando una tela neutra per nuove proporzioni. I commenti furono misti: «Non è la poesia di Yves», osservò Sonia Rykiel, «È molto più forte e diretto».

Un momento emblematico e controverso dell’era Ford da Yves Saint Laurent fu la campagna pubblicitaria del profumo maschile *M7*, lanciata nel 2002. Diretta e audace, mostrava il modello Samuel de Cubber completamente nudo, evocando l’immagine del 1971 che ritraeva Yves Saint Laurent nudo. Questo gesto rappresentava la volontà di Ford di modernizzare il linguaggio del brand con un’estetica provocatoria, ma comunque radicata negli archivi storici.  Nonostante le critiche, Ford lasciò il segno con prodotti iconici come la borsa Mombasa, che univa raffinatezza e sensualità diventando simbolo di desiderabilità. Questo dimostrò la capacità di Ford di creare accessori iconici in una maison celebre per l’abbigliamento.  

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Dal punto di vista economico, però, il turnaround di Saint Laurent fu più complesso del previsto. A differenza di Gucci, che Ford aveva rilanciato con un approccio audace, Saint Laurent richiedeva una sensibilità diversa, legata al rispetto di una tradizione radicata. I risultati economici faticarono a decollare: nel 2002 Saint Laurent fatturò 671 milioni. In un panorama parigino dominato da John Galliano, Hedi Slimane e Alexander McQueen, le collezioni di Ford sembrarono mancare di quella scintilla necessaria per emergere. Come osservò Kal Ruttenstein di Bloomingdale’s: «Questa è la vita di Yves, riproposta per il nuovo millennio». Tuttavia, per altri, la mancanza di poesia rendeva le collezioni troppo “patinate”, lontane dal DNA di Saint Laurent. Il periodo di Tom Ford da Yves Saint Laurent terminato nel 2004 rimane un paradosso: da un lato, l’ambizione di innovare il brand; dall’altro, l’incapacità di riconciliare la sua visione con l’anima della maison. Ford creò prodotti iconici, ma non replicò il successo economico e creativo di Gucci. Yves Saint Laurent, con il suo universo delicato e poetico, non si adattava al pragmatismo di Ford. Questo capitolo ci ricorda che innovare un’eredità è un’arte complessa: il designer texano rimane indubbiamente un creativo rivoluzionario, ma Saint Laurent rimarrà sempre l’enfant prodige della moda.