Il più grande distretto tessile d'Europa è in sciopero
Le proteste dei lavoratori di alcune aziende cinesi di Prato
07 Ottobre 2024
A Prato, centro tessile più grande d'Europa ma anche sito produttivo notoriamente afflitto da sfruttamento della manodopera, ieri sono iniziate le proteste dei lavoratori di alcune attività a conduzione cinese del distretto. Secondo quanto denunciato dal sindacato che ha indetto lo sciopero, il Sudd Cobas Prato-Firenze, in alcune aziende tessili di Prato si lavorerebbe più di 80 ore al giorno, 12 al giorno senza giorni di riposo, con impiegati retribuiti in nero e senza tutele. Il sindacato afferma che ad alcuni impiegati è stato richiesto di restituire la tredicesima, altri hanno ricevuto buste paga finte oppure non sono mai stati pagati, e che il contratto (che solitamente annuncia un'occupazione part time) non viene mai rispettato. Tra le aziende coinvolte nello sciopero si trovano un sito di produzione di borse e cinture, una stireria, una fabbrica di lampo su misura, una tessitoria, un'azienda che confeziona abbigliamento Made in China e infine una fabbrica di moda fast fashion.
Gli impiegati che in sciopero a Prato da ieri hanno denunciato alla stampa le loro condizioni lavorative. Molti di loro appartengono alla comunità pakistana, che dopo quella cinese è una delle più grandi nel distretto: raccontano di essersi trovati costretti ad accettare il lavoro poiché trovare un'occupazione stabile senza permesso d'asilo è ancora più complesso, in più alcuni non sanno bene l'italiano perciò si sono dovuti accontentare. Al Fatto Quotidiano, uno dei lavoratori ha riportato di essere trattato «come un animale» e di dover sudare anche solo per ricevere la busta paga dovuta. Il sindacato dice che la colpa non è dei controlli, che troppo spesso vengono manipolati in favore dei proprietari d'azienda, ma delle leggi che concedono ai dirigenti di aggirarle senza troppe difficoltà. Per i rappresentanti del Sudd Cobas Prato-Firenze il primo passo per risolvere il problema sarebbe risolvere la crisi del settore dell'abbigliamento, peggiorata nell'ultimo anno a causa della guerra in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Così come quello industriale, ricorda il sindacato, soffre anche il settore artigianale, a danno dell'etichetta Made in Italy di cui il Paese va da sempre così fiero.