Le eterne, innocenti lolite di Miu Miu
Disinformazione, gioventù e verità sembrano il primo pensiero di Miuccia Prada
02 Ottobre 2024
Eseniya Araslanova
Miuccia Prada è preoccupata per lo stato del mondo. Sia nel suo ultimo show di Prada che per la collezione SS25 di Miu Miu il nucleo filosofico del suo lavoro ruotava intorno al tema della post-verità, della frammentarietà dell’informazione (e dunque del reale che percepiamo) che nasce dall’aver delegato alle macchine funzioni che prima erano degli uomini. Se l’alienazione e la de-contestualizzazione del passato nell’era digitale era il tema di Prada, da Miu Miu invece la reazione a un mondo sempre più sommerso dal rumore, dallo spam e dal clickbait della stampa è un ritorno verso i blocchi elementari del vestire. È un ritorno all’infanzia come mondo dell’innocenza e dell’uniformità ma anche un ritorno all’istinto, all’intuizione geniale che stravolge le cose all’ultimo e dà loro carattere modificando la prospettiva in cui vengono presentate. L'infanzia è incosapevolezza, la prima giovinezza è l’età della verità semplice, l’età adulta quella della disinformazione imposta a noi e che noi poniamo agli altri dissimulando noi stessi – è l’ingenuità del mondo e dell'arte che manca a Miuccia Prada? O ci vuol dire che l’identità a cui ci aggrappiamo da adulti è una mistificazione anche auto-imposta? O forse l’istinto che ci può dire cose che un mondo ormai fatto troppo opaco dalla retorica e troppo vasto a causa dei mass media invece ci nasconde? Quelle che la signora Prada ha portato in passerella non sono eterne bambine ma piuttosto donne che, attraverso ogni età, reclamano una prerogativa di unicità attraverso un istinto di cui è imperativo fidarsi, più consapevoli ma ancora candide come adolescenti.
Lo show ha rappresentato questo tema attraverso una nuova collaborazione artistica, questa volta con Goshka Macuga, il cui contributo non si è limitato solo alla sfilata ma si estende anche all’installazione presentata al Palais d'Iéna durante Art Basel Paris 2024. Nel corso dello show, il contributo di Macuga si è manifestato attraverso il film e set design The Truthless Times, un progetto che include la produzione di un giornale cartaceo e un film narrativo, entrambi focalizzati sui temi della disinformazione e manipolazione mediatica che altera la nostra percezione della verità. Se la collezione FW24 si concentrava su un abbigliamento che rifletteva esperienze vissute, la collezione vista ieri parte dalla prima giovinezza, da leggere come momento di innocenza e di verità che deriva da un contatto assoluto con se stessi, una limpida nozione delle cose. Questa fase della vita, prima che l’inganno e la doppiezza dell’età adulta entrino in gioco, viene manifestata attraverso un abbigliamento che, in sé, riflette chiarezza e precisione e offre diverse basi di costruzione di un’identità compiuta. Il primo look è un abito bianco: cosa può esserci di più innocente, ma anche di più essenziale come base di un'identità che è anche un modo di vestire?
Il concept però si riflette anche nella materialità dato che questa stagione vede il brand collaborare con Petit Bateau, storico brand francese specializzato in abbigliamento per bambini. Una partnership che porta alla rivisitazione di capi classici dell’infanzia, adattati questa volta anche per i grandi, che vede in essi una sicura funzionalità pratica ma anche la chiarezza inequivocabile di un archetipo – una base di partenza sicura al di là di ogni dubbio. Ma qualcosa interviene: gli abiti chemisette vengono abbassati, ripiegati e attorcigliati attorno al busto; i maglioni si trasformano in top annodati, le camicie sono messe di sghimbeschio. È l’istinto, sempre infantile, che esplora facendo per esplorare sé stesso – lavorare sull’esterno per discernere l’interno. Ma queste e altre trasformazioni, come i capi in seta che paiono di nylon, riflette con la manipolazione degli abiti e dei materiali il tema della manipolazione e della dissimulazione introdotto dall’installazione di Macuga. Quando l’informazione è manipolata, parziale, tendenziosa anche il reale perde le sue apparenze – informazione è percezione, in fondo. A sottolineare la doppia natura insita nelle cose ci sono, per contrasto, i capi classici che rappresentano l'estetica nota di Miu Miu. E anche qui si pone la domanda: cosa è più Miu Miu, l’uniforme che già si conosce o l’elemento nuovo, rifunzionalizzato? Il gioco tra verità e finzione prosegue, come si può notare, su diversi livelli.
Uno di questi livelli è il cast – se la scorsa stagione avevamo le “donne vere” ora volti noti provenienti dal mondo del cinema, della musica e della moda, tra cui Charlotte Cardin, Alexa Chung, Willem Dafoe, Cara Delevingne, Noen Eubanks e anche una Hilary Swank in gran rispolvero. Questi personaggi, attori o meno, svolgono per lavoro il compito di rappresentare verità alternative o, meglio, far sembrare reale la finzione e viceverse. La risposta di tutto, offerta praticamente già in partenza, è proprio quell’istintualità da cercare nella pura consapevolezza della prima giovinezza, ancora priva di corruzione, e da seguire come unico vero spazio in cui oggi la disinformazione e il rumore non arrivino. Come si diceva, le donne di Miu Miu (e anche gli uomini, dato che Dafoe ha chiuso lo show) non devono essere eterne bambine o adolescenti ma scoprirsi nell’intersezione misteriosa di chi si affaccia sul mondo senza esserne per questo sporcato, anche se con un tocco di innocua malizia: eterne, innocenti lolite.