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Vale ancora la pena andare andare agli after-party in fashion week?

Un tempo un’istituzione, oggi hanno perso un po’ del loro lustro

Vale ancora la pena andare andare agli after-party in fashion week? Un tempo un’istituzione, oggi hanno perso un po’ del loro lustro

Tutti amano andare alle sfilate ma, se domanderete a un vero fashion insider, tutti preferiscono andare agli after party. In effetti, nel pieno della fashion week, gli show sono momenti belli ma frenetici: si arriva e ci si siede tra la confusione, si aspetta l’inevitabile mezz’ora o più di ritardo e, infine, si guarda lo show, spesso attraverso i telefoni. Quando questo finisce alcuni giornalisti (solo i più esimi) corrono nel backstage per le interviste mentre tutti gli altri scappano diretti allo show successivo. Il tutto indossando un outfit all’altezza dell’occasione. In breve è un affare alquanto formale, spesso frettoloso, ancora più spesso confusionario. Ed è proprio per alleggerire tutta questa pressione che in origine erano nati gli after-party: feste più o meno private che il brand dava per i propri dipendenti e la propria community in cui si sfogava l’alta tensione dei giorni precedenti lo show. La loro lista era limitata ai suddetti dipendenti, a qualche celebrity o manager da stivare in un privé, e agli ospiti vari ed eventuali – erano divertenti, pieni di gente da conoscere, più spesso che non abbastanza selvaggi. Erano feste molto più esclusive delle sfilate, perché a queste ultime si va per lavoro mentre l’invito ai party segnalava una connessione più profonda, se non un apprezzamento. Erano feste più esclusive perché si incontravano anche top model, star del cinema o della musica, persone potenti e visibili, oltre che una parata di bella gente – essere nella lista ospiti significava far parte di quella bella gente, essere dentro e non fuori. Inutile dire che oggi le cose sono parecchio diverse – ma perché?

@madou01_ There might be a huge lack of organization as well tho But GODDDD, it’s annoying! #milanofashionweek #milanfashionweek #fw24 original sound - MADOU01_

«Ai party della fashion week non vai per divertirti, ci vai per esserci», è il motto di numerosi PR e insider quando le date di Londra, Parigi o Milano si avvicinano. Quello che intendono è che di solito l’obiettivo ultimo di una festa è ballare, flirtare, bere qualche drink, lasciarsi andare – ma un qualunque fashion worker che si ritrovi oggi in una di queste feste sa di non avere la libertà di scatenarsi, bere quanto vuole o comunque di correre il rischio di trovarsi in situazioni inopportune. Persino la nozione di “ballare come se nessuno stesse guardando” perde senso quando tutti stanno guardando, specialmente CEO o direttori creativi, datori di lavoro o colleghi di altre aziende. E anche l’esclusività è un bel tema da affrontare. Oggi, se l’ebbrezza che si va cercando è quella di essere invitato nella cerchia più ristretta, l’invito da cercare è quello delle cene private dei brand: trenta o quaranta coperti, una lista di invitati che include star del cinema e la créme degli influencer, le alte gerarchie dei brand e, infine, gli stilisti, seduti fianco a fianco con gli altri invitati. Quella è la vera esclusività, il vero accesso. I party, ormai, sono affari parecchio più disagevoli: file e liste lunghissime, locali così affollati che non si cammina, frotte di comprimari dell’industria (o aspiranti tali) venuti in cerca di open bar e show-off, VIP e designer chiusi in un privè inaccessibile che è la festa nella festa. In breve, da occasione speciale, molti after-party sono diventati adunate di folla dove, paradossalmente, prendere un drink è complicatissimo, abbandonarsi all'entusiasmo sconsigliato e anche solo entrare è assai complesso pur essendo in lista.

@saintleone Always bring a pen with you to every night out. Thank you @NELLO TAVER #lifehacks #milanfashionweek #mfw #milan #afterparty #valentinaferragni original sound - Saint Léon

Sulla carta questi party rimangono esclusivi, se si è sulla lista, lo si è per un motivo, ma, nella pratica, quando si emerge dalla marea umana sembra di respirare aria per la prima volta. È anche vero che nessun brand vuole organizzare un party noioso: serve che la location sia di qualità, che venga tanta gente meglio ancora se di rilievo, che ci sia una fila di curiosi fuori, che le persone non stiano imbalsamate e si divertano. Non di meno, nelle scorse fashion week (almeno a Milano) diversi after-party hanno dovuto chiudere gli accessi per aver superato la capienza; si è giunti a un livello di caos tale che molti invitati non sono semplicemente stati in grado di entrare e sono andati via alla vista della calca. Il problema di queste feste è quasi lo stesso di una moda di oggi che non sa veramente a chi rivolgersi, se ai giovani cool kids protagonisti del momento o ad audience più seriose ma dotate di un certo potere d’acquisto. Il che però ha portato queste feste a snaturarsi o, volendo essere più concilianti, a cambiare natura: sono anch’esse diventate l’ennesimo strumento di marketing?