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L'ingannevole minimalismo di JW Anderson

"Less is more" non è uguale per tutti

L'ingannevole minimalismo di JW Anderson  Less is more non è uguale per tutti
Fotografo
Yossy Akinsanya

«Quanto più puro è l'ambiente, tanto più fantastico è il mondo interiore», afferma il regista David Lynch in un'intervista con Charlie Rose del 2000. Sostiene che mangiando gli stessi pasti a pranzo e a cena per lunghi periodi di tempo («pomodoro, tonno, feta e olio d’oliva a pranzo, pollo e broccoli a cena con un po’ di salsa di soia») la sua mente riesce a liberarsi delle preoccupazioni terrestri e a viaggiare meglio con la fantasia. Ecco, nonostante il mondo della moda e del cinema abbiano conosciuto artisti enormi noti per il loro genio così come per la loro sregolatezza, esistono rari casi in cui la brillantezza arriva dalla sobrietà. David Lynch è un esempio; JW Anderson, con il suo nuovo show per la SS25 in passerella ieri mattina, ha dimostrato di essere un altro. Presentato all’ex mercato del pesce di Old Billingsgate, la sfilata ha riunito celebrity e nomi illustri della fashion industry in uno spazio che un tempo era dedicato alla classe operaia. Qui, il designer ha presentato una collezione basata su quattro materiali fondamentali: cashmere, pelle, seta e paillettes. Come acqua, terra, fuoco e aria, gli elementi che compongono la SS25 di JW Anderson hanno dimostrato la loro forza imprescindibile. Imporre dei limiti e restare con i piedi per terra è, per creativi brillanti come Jonathan Anderson e Lynch, il solo modo per spiccare il volo e raggiungere traguardi artistici destinati a pochi.

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Nonostante la sfida che il designer irlandese ha deciso di intraprendere abbia a che fare con la filosofia del “less is more”, non si tratta di una collezione minimalista, anzi. Partendo da quattro semplici tessuti, Anderson ha davvero coltivato una moltitudine diversificata di stili e silhouette, che ripercorrono il menswear della SS25 aggiungendo nuove idee. I minidress sono minuscoli e aderenti e riportano stampe trompe-l’oeil; la maglieria è grande e spessa, torna l’intrecciato ma si incastra con l’estratto di un saggio sul design del critico Clive Bell. La sfilata è un tripudio di forme originali, di grafiche che richiedono uno sguardo approfondito per essere comprese, di morbidezze e di rigidità che si alternano allegramente in una danza allegorica. Il contrasto è da sempre l’arma segreta di JW Anderson, che anche questa volta è riuscito a rendere freschi e innovativi codici stilistici passati: la loafer diventa una borsa, il knitwear scopre le gambe fino all’inguine, abbinamenti strani come l’azzuro ceruleo e il giallo senape vanno d’amore e d’accordo. Persino gli stivaletti, dal taglio sbilenco che scopre il collo del piede, modernizzano l’idea di jodhpur slanciando le gambe delle modelle. 

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Se in passato gli show di JW Anderson erano conosciuti per la loro "viralità", raggiunta grazie a elementi vistosi come la borsa a forma di piccione o le scarpe a forma di rana di Willipets, qui il designer vuole che a essere guardata sia tutta la collezione. I codici stilistici del brand sono ancora tutti presenti, dai motivi trompe-l’oeil alle ampie bomber jacket blu e verdi,  dalle gonne marmoree all’ironia nei riferimenti artistici, eppure sembra che con questo show abbia preso una nuova direzione artistica, quella della semplicità raffinata. Con i piedi ben piantati a terra e attrezzato solo dell’essenziale, il designer affina la mira, punta più lontano di prima e colpisce nel segno: non ci sono trucchi marketing, non ci sono volti famosi in passerella, non c’è neanche un accessorio in grado di eccitare la platea social. Come se avesse tolto la sedia da sotto al sedere a tutti i fan delle idee umoristiche del brand, Anderson ha raccontato l’importanza dei fondamenti della moda ridendoci su, come sempre.