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«La designer che dipinge troppo», intervista ad Anna Deller-Yee

L'artista dietro agli abiti pittorici di Marni si racconta

«La designer che dipinge troppo», intervista ad Anna Deller-Yee  L'artista dietro agli abiti pittorici di Marni si racconta

Anna Deller-Yee era appena neolaureata quando è stata contattata dal team di Marni. Era il 2021, e l’artista tedesco-americana aveva giusto completato i suoi studi alla Royal College of Art di Londra. «In realtà mi hanno scritto su Linkedin», ricorda Deller-Yee. «Nel giro di due mesi mi sono trasferita a Milano e ho iniziato a lavorare per loro». Ciò che l’ha subito attratta al brand, racconta, non è stata questione di nomea ma di umanità, una qualità che tra i grandi nomi della moda a volte fatica a trovare spazio. Della collaborazione con il direttore creativo Francesco Risso, Deller-Yee apprezza specialmente la «visione artistica senza compromessi» del designer, il suo amore per una creatività che non ha limiti anche laddove, nel favoloso mondo del lusso, viene molto spesso soffocata. «Penso che sia speciale, soprattutto in questo settore dove le cose possono diventare molto pulite e impersonali». Con una specializzazione nella pittura materica sviluppata durante l’ultimo anno di università, i lavori dell’artista non potevano che ruotare attorno al colore per Marni, maison che della texture e delle tinte brillanti ha fatto un tratto distintivo. Mentre ci mostra le tavolozze che ha utilizzato per realizzare i look della SS e FW24, giacche, abiti, pantaloni e gonne completamente ricoperti da spesse strisce di pittura stratificata, tira fuori dalla borsa anche i vestiti che ha indossato mentre dipingeva. «Questa è Nicki Minaj» dice, indicando una delle macchie. I jeans sono quasi interamente coperti dei colori delle ultime collezioni del brand, e sembrano quasi un’edizione ready-to-wear dell’abito su misura indossato dalla rapper al Met Gala. Per Deller-Yee anche quella è arte, anzi, arte vissuta, la prova concreta di tutti i successi professionali raggiunti negli ultimi tre anni.

Nonostante possa sembrare che l’arte di Deller-Yee abbia poco a che fare con il mondo dello sport, quest’estate i fiori dipinti dell’artista sono entrati in contatto con le Olimpiadi di Parigi in più occasioni. Prima con una collaborazione speciale con Nike, una linea di activewear dalle grafiche sfumate che celebra la dinamicità del movimento corporeo con la vitalità delle opere di Deller-Yee, poi con un look custom-made di Marni per Anna Wintour, un lungo abito bianco dipinto e a mano che la editor di Vogue US ha indossato per assistere alle competizioni di ginnastica artistica - un look che Wintour sembra aver particolarmente apprezzato, considerando che ha voluto replicare la collab in occasione degli US Open«Mi sono sporcata le mani durante il fine settimana», ricorda l’artista in merito al primo look per l’editor in chief di Vogue. «Ho portato l'abito a casa, poi nel mio studio», e aggiunge che nonostante solo negli ultimi mesi abbia lavorato a progetti dalla portata enorme, come il look di Minaj per il Met o la capsule per Nike, fa ancora fatica a credere che siano reali.  «Mi sento sempre come quella ragazza che se ne sta in camera sua e ha solo un pennello per fare un po' di disordine». 

Deller-Yee ha potuto mettere alla prova la sua cosiddetta «sindrome dell’impostore» anche grazie alla collaborazione con Nike, durante la quale ha imparato a vivere l’arte proprio come annuncia il motto del brand, “Just Do It.”: fallo e basta, nello sport come nel design. In quanto artista emergente, racconta, combatte quotidianamente con un certo senso di inadeguatezza che non le lascia mai godersi appieno i traguardi raggiunti. Lavorando alla capsule ha provato però un vero senso di accoglienza e di riconoscimento con il team di Nike, un approccio che lei reputa imprescindibile. «È molto importante il rispetto, che non si tratti solo di qualcuno che mi dice cosa fare», afferma Deller-Yee. Quello che lei chiama dialogo creativo, ossia una comunicazione chiara e reciproca tra brand e contributor, l’ha fortunatamente trovato sia in Nike - «a volte i grandi brand possono diventare senza volto, ma con loro la sensazione è stata molto personale» - sia da Marni, dove la sua originalità è stata finalmente celebrata come sognava. «All'inizio ho faticato perché non rientravo in una categoria o in un'altra, non ero una designer e non ero nemmeno considerata un'artista», racconta. «Marni mi ha dato un posto in cui mi sono sentita a mio agio, perché credo che Francesco apprezzi questa dualità». 

Dal divanetto in velluto verde dell’ufficio di nss, lo stile personale di Anna Deller-Yee emerge con fierezza. Sotto a un bomber nero porta uno dei top che ha disegnato per Nike, alle orecchie un’infinità di orecchini argentati, e dagli stivali neri sbucano grandi tatuaggi a forma di fiori, serpenti e piante che si arrotolano attorno alle sue ginocchia. Ma il suo stile personale non influenza la sua arte, dice la designer, anzi viceversa. «Mi piace sempre definirmi un collezionista, mi piace raccogliere cose fisiche ma anche ricordi», dice. Dei suoi primi tre anni negli atelier di Marni, conserva con affetto l'audacia del team«Il team womenswear di Marni è composto prevalentemente da donne, ed essere circondata da così tante donne, vedere come si vestono, il tipo di dialoghi e conversazioni che abbiamo intorno al vestire mi ha davvero influenzato in termini di fiducia in me stessa». Come quello di un vero collezionista, lo stile personale di Anna Deller-Yee non segue le mode, ma le esperienze che prova sulla sua stessa pelle. Come la pittura sui suoi vestiti, ogni progetto una pennellata di colore che aggiunge originalità al suo vissuto. È quella la sua vera identità, quella, per citare la sua bio di Instagram, di una «designer che dipinge troppo».