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Milano propone un database per le supply chain

Dopo lo scandalo Antitrust, il capoluogo lombardo si mette a lavoro per proteggere il Made in Italy

Milano propone un database per le supply chain  Dopo lo scandalo Antitrust, il capoluogo lombardo si mette a lavoro per proteggere il Made in Italy

La prefettura di Milano vuole lanciare un database per le supply chain per monitorare con più attenzione le produzioni italiane. Secondo quanto affermato nella proposta, il cui contenuto è stato condiviso questa mattina da BoF, il database si estenderebbe solo alla Regione Lombardia, e avrebbe lo scopo di creare una piattaforma centralizzata per i produttori, su cui caricare tutti i documenti necessari a certificare la legalità dei siti di lavoro. Lo schema incentiverebbe così la regolarizzazione delle fabbriche, aiutando anche i brand e le autorità che devono occuparsi dei controlli. La proposta arriva a pochi mesi dallo scandalo che ha coinvolto alcuni fornitori di società di lusso come la Giorgio Armani S.p.a e la Christian Dior Italia S.a, indagati dall’Antitrust per possibili condizioni di lavoro inadeguate. Per risparmiare sulla produzione, diceva l’accusa degli organi giudiziari milanesi, le società (inclusa anche altre aziende italiane come Alviero Martini srl, Betty Blue Spa di Elisabetta Franchi e Marella Srl) avrebbero collaborato con sweatshop, opifici situati nel milanese in cui i lavoratori venivano sfruttati, sottopagati e anche istruiti a mentire in caso di controlli

Dopo la pubblicazione dell’indagine, Armani e Dior hanno immediatamente preso le lontananze dalle catene di approvvigionamento tutt'ora sotto sequestro. Secondo i ritrovamenti dell’Antitrust, nelle quattro fabbriche con cui collaborava la maison francese gli operai si trovavano in condizioni sanitarie precarie, costretti ad abitare nello stesso capannone in cui lavoravano per produrre poi borse che sarebbero state vendute in boutique per migliaia di euro al solo costo di 53 euro. La situazione ha subito adirato l’opinione pubblica e i dirigenti delle aziende a capo del settore del lusso italiano: tra questi il Presidente di Camera Moda Carlo Capasa, che in un e-mail ha chiarito che la proposta della prefettura è ancora in fase di sviluppo. Il protocollo, ha condiviso Capasa con BoF, deve ancora essere perfezionato, poiché temi come l’estensione geografica dello schema e le difficoltà legate al trattamento di una documentazione così ampia stanno ancora da rivedere.  

Nonostante la creazione di un database in grado di raccogliere tutti i documenti e le informazioni personali delle fabbriche lombarde possa essere un’impresa complessa, potrebbe finalmente mettere fine a un problema che da anni interessa tutto il settore produttivo italiano. Se l’iniziativa avrà buon esito, potrebbe estendersi su altri settori e non interessare solo l'abbigliamento, ma tutte le produzioni italiane (che, secondo gli ultimi dati ISTAT, negli ultimi diciotto mesi hanno subito un calo repentino). Per adesso, la prefettura milanese propone un piano estendibile solo in Lombardia e con partecipazione volontaria, il che potrebbe trasformare l’iniziativa da un’innovazione a un altro buco nell’acqua a meno che non subisca rinnovamenti una volta prescritta. La proposta è ancora in fase di sviluppo, al centro di un dibattito che vede coinvolti governe e forse dell’ordine, sindacati e grandi gruppi della moda italiana