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Il Giappone sembra immune alla crisi del lusso

Una regione relativamente piccola ma sempre più strategica

Il Giappone sembra immune alla crisi del lusso Una regione relativamente piccola ma sempre più strategica

Ogni trimestre i grandi gruppi industriali presentano i propri risultati finanziari. Spesso la performance di ciascuna azienda è organizzata su base geografica, ovvero in base ai diversi mercati. E se c’è un mercato in cui la spesa del lusso resiste da anni è il Giappone. Di recente, diversi residenti di paesi che affacciano sul Pacifico hanno iniziato a fare shopping in Giappone, sfruttando tassi di cambio altamente favorevoli. Con lo yen giapponese che continua a scendere rispetto alle principali valute (la scorsa settimana è sceso al livello più basso dal 1986 contro il dollaro) le visite di turisti esteri che vanno in cerca di affari si sono moltiplicate. E la cosa non è limitata ai cinesi, ai coreani e agli australiani, ma riguarda in certa misura anche gli europei dato lo yen ha toccato i minimi pluriennali anche contro l'euro, il dollaro australiano e lo yuan cinese. Il risultato di questa svalutazione dello yen è che il retail di lusso in Giappone va, per essere spicci, a gonfie vele. «I principali marchi di lusso, specialmente nel distretto di Ginza [di Tokyo] e nei negozi nei grandi magazzini, stanno performando eccezionalmente bene», ha detto a BoF Maiko Shibata, head buyer e creative director della boutique multi-brand giapponese Restir.

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Questa controtendenza rispetto al raffreddamento globale della domanda del lusso sta motivando i marchi di lusso come Hermès, Tiffany & Co. e Balenciaga a potenziare le loro operazioni nel paese, espandere la loro presenza con nuove boutique e pop-up e in generale accelerare i piani di espansione esistenti. Hermès, che ha registrato un aumento delle vendite del 25% in Giappone nel primo trimestre dell’anno, ha aperto la sua seconda sede a Ginza il mese scorso nel grande magazzino Mitsukoshi, dopo l'apertura del negozio Azabudai Hills a febbraio. In aprile, Balenciaga ha aperto un flagship store su tre livelli a Ginza, portando il numero di negozi in Giappone a 37. Anche marchi emergenti di gioielleria e lusso accessibile come Gemmyo, Ganni, Studio Nicholson e Polene sono entrati o hanno aperto i loro primi negozi nel paese nell'ultimo anno. In generale, poi, LVMH ha riportato un aumento delle vendite del 32% in Giappone nel primo trimestre, il più alto tasso di crescita al mondo, ma anche Kering ha registrato una crescita dei ricavi del 16% nel primo trimestre e le vendite del gruppo Prada nel paese sono aumentate del 46%, sostenute dal consumo locale e sempre più dai turisti. Richemont, nel frattempo, ha visto le vendite aumentare del 20% a tassi di cambio costanti in Giappone nell'anno terminato a marzo. 

Il valore del mercato del lusso giapponese era di 31 miliardi di dollari lo scorso anno, in aumento del 27% anno su anno a tassi di cambio costanti, secondo Bain & Company. Le vendite duty-free da parte di turisti hanno raggiunto un record per il terzo mese consecutivo a maggio, più che triplicando rispetto all'anno precedente a 71,8 miliardi di yen, circa 450,7 milioni di dollari. Ma non ci sono solo turisti: la svalutazione dello yen rende più ostico il turismo, e dunque i giapponesi stessi spendono molto in beni voluttuari. Una ricerca del Nomura Research Institute, citata da Travel Voice Japan, outlet ufficiale del ministero del turismo del paese, dice che «la popolazione benestante in Giappone è stimata a 1,49 milioni di famiglie nel 2021, che detengono attività finanziarie per un totale di 364.000 miliardi di JPY. Le famiglie ricche con un patrimonio finanziario compreso tra i 100 e i 500 milioni di JPY sono 1,4 milioni, mentre le famiglie super ricche con 500 milioni di JPY o più sono 90.000. Il numero totale è superiore al precedente record di 1,33 milioni di famiglie nel 2019, e le famiglie ricche sono aumentate dal 2013». Un boom che, per quanto positivo, nasconde anche un motivo di preoccupazione, dato che è motivato dalla svalutazione dello yen e, in sostanza, da consumatori abituali di lusso, con forti capacità di spesa, che prendono un aereo pur di risparmiare qualcosa sui loro acquisti. Un'indiretta segnalazione che forse le politiche di pricing in altri mercati-chiave come ad esempio la Cina, hanno imposto prezzi tanto elevati da scoraggiare le vendite domestiche e incoraggiare quelle all'estero: in altri mercati i prezzi sono diventati così alti che anche i ricchi cercano di aggirarli e di cercare l'offerta migliore. Insomma, la sensazione che il lusso giapponese vada bene potrebbe essere solo survivorship bias, cioè quell'errore di logica che si verifica quando analizziamo solo soggetti o dati che hanno superato un processo di selezione, ma ignorando quelli che non l'hanno superato. Ma questo lo dirà solo il tempo.