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Il coordinato di lino è il nuovo “cappotto cammello”?

Come salvare il nobile materiale dai cliché del fast fashion

Il coordinato di lino è il nuovo “cappotto cammello”? Come salvare il nobile materiale dai cliché del fast fashion

Negli ambienti della moda il termine “cappotto cammello” si riferisce a un capospalla beige spesso comprato da Zara o H&M, tendenzialmente sintetico, quasi sempre abbinato ad outfit finto-chic e che esprime tanto l’aspirazione di sembrare eleganti quanto l’assenza di gusto di chi lo compra. Il “cappotto cammello” è un falso significante di distinzione, uno scimmiottamento dei ricchi e delle loro abitudini che denuncia però la limitatezza di chi lo indossa già a partire dalla sua triste convenzionalità seriale, dai suoi materiali sintetici che imitano la morbidezza della vera lana, delle sue finiture rozze che ne rivelano la qualità scadente. E se il “cappotto cammello” prova a imitare il lusso dei tessuti invernali, il suo corrispettivo estivo è il “coordinato di lino”: un set di pantaloncini e camicia, spesso con colletto alla coreana, declinato sempre in tre scontati colori (bianco, blu, beige) che vorrebbe evocare il pensiero di crociere sullo yacht degli Agnelli, di raffinate vacanze a Marbella e aristocratici aperitivi a bordo piscina su una terrazza a Saint Tropez – enfasi sul “vorrebbe”. Su TikTok non si parla nemmeno più di una certa camicia o un certo pantalone (in fondo è vero che il lino è il tessuto estivo per eccellenza) ma proprio di interi set di camicia e pantalone declinati per colore che ragazzi palestrati con il pizzetto, occhiali da aviatore e tatuaggi di discutibile originalità indossano con pose da uomo fatale. 

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Per avere un’idea del contesto storico, ciò che oggi su TikTok viene volgarmente definito “coordinato di lino” si chiama in realtà cabana set, e nacque nella cultura del tempo libero sorta negli USA nel secondo dopoguerra: il termine “cabana” indica sia i gazebo di legno che stanno intorno alle piscine sia gli stabilimenti balneari. La creazione del set proviene dalla popolarità della camicia hawaiana, divenuta famosa quando gli ex-soldati di stanza alle Hawaii la riportarono con sé alla fine della guerra. In California, diversi brand crearono camicie hawaiane e dato che già realizzavano costumi da bagno, decisero semplicemente di coordinarle. Alla fine degli anni '40, il brand californiano, Catalina, iniziò a promuovere costumi da bagno abbinati a camicie sportive anche se il termine "cabana set" fu coniato solo nei primi anni '50.

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Praticamente un’astuta strategia di marketing per creare un completo a partire da due prodotti pre-esistenti ma inizialmente irrelati, risparmiando anche sul tessuto che era identico per i due pezzi. Non di meno, l’outfit divenne presto il simbolo dello stile di vita rilassato ma sofisticato, associato alla California del Sud e ai suoi bordopiscina. Una pubblicità del 1954 per i cabana set del marchio Arrow, citata dal FIMD Museum, li dichiarava adatti per "il relax, i lavori manuali o le giornate in spiaggia del papà," evidenziando la loro versatilità come abbigliamento sportivo multiuso. Alcuni produttori offrirono addirittura costumi da bagno coordinati per tutta la famiglia — cabana set per padri e figli, e costumi interi per madri e figlie. In breve tempo il cabana set, con i suoi colori vivaci e il design versatile, divenne un simbolo di questo nuovo modo di vivere.

Più di recente, diciamo intorno agli anni ’10, ricevette una rilettura streetwear: la natura sgargiante del set lo rese al contempo una soluzione ideale per l’abbigliamento estivo maschile, a metà tra il mondo del tennis, quello del vintage e quello dello sportswear; e una tela perfetta per la logomania imperante dell’epoca. Da Fendi a Dolce&Gabbana, da Versace a Gucci, e poi soprattutto con Casablanca e a un certo punto anche con la FW18 di Prada il cabana set tornò in veste più visivamente aggressiva, diventano un po’ la divisa ad alta visibilità dei ricconi di Mykonos e Dubai. Fu in questo periodo che la vocazione sportswear del set si manifestò: la vita divenne elasticizzata, spuntò il cordoncino e, ovviamente, dalla seta dei prodotti di lusso si passò al più economico e smerciabile lino. Il famoso “coordinato” era nato. Attraverso tante metamorfosi l’elemento che rende il coordinato così amato non è mai cambiato: è un outfit pre-confezionato, il sogno di ogni uomo che non intende soffermarsi per troppi minuti nella scelta di cosa mettere per uscire. Unico problema: se già nel 1967, nel celebre film Il Laureato, a indossare il coordinato non era il giovane Dustin Hoffman ma suo padre, interpretato da William Daniels, si può avere un’idea di come, già al principio dei ‘70s, il cabana set fosse qualcosa di vagamente antiquato. Un po’ come i papà di oggi che, memori degli anni ’80, portano colletti della polo alzati e pantaloni slim fit. 

Oggi, il relativo involgarimento che ha coinvolto il coordinato di lino lo ha portato a costeggiare i territori iper-funzionali della tuta e del pigiamino per bambini, l’aggiunta di cordoni e vite elasticizzate, la perdita di precisione nei tagli e l’omologazione promossa dai social, ne hanno fatto quasi un manierismo da parvenu. Indossato sempre con sneaker bianche, cappello a visiera e, nei casi più tristemente drammatici, anche con una pochette da uomo, il coordinato sembra voler evocare lo stile impeccabile di Mad Men senza però voler rinunciare alle pretese di comodità radicale delle nuove generazioni. Pensiamo alla seconda stagione di The White Lotus: simili set coordinati venivano indossati da Theo James, il cui personaggio era il chad arricchito e un po’ compiaciuto; e da Leo Woodall, che interpretava il cafone inglese in giro per Taormina. Altri cabana set cinematografici sono quello, bellissimo, di Jude Law in Il talento di Mr. Ripley (che è ambientato negli anni '50) e quello di Daniel Craig in Glass Onion per simboleggiare l'eccentricità di un personaggio dal vestire desueto. Volendo abbassare il tiro, si potrebbe dire che il coordinato di lino appartiene pienamente al vocabolario vestimentario di Too Hot To Handle, Temptation Island e Love Island, tanto che diversi concorrenti ne hanno indossato di simili nel corso delle ultime stagioni. Insomma, coi decenni il set ha perso l’aura aristocratica che gli si attribuisce, specialmente perché questa derivava proprio dai dettagli formali che decoravano un capo altrimenti assai corrente e disimpegnato. Comprendere tutto (inclusa la storia del coordinato) significa perdonare tutto: dispiace soltanto, però, che così tanti uomini non si guardino in giro scoprendo di essere vestiti esattamente come tutti gli altri, come tanti impiegati di una stessa, fantozziana, mega-ditta.