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La nostalgia del futuro di Dries Van Noten

Un congedo, più che un addio, per il maestro belga

La nostalgia del futuro di Dries Van Noten Un congedo, più che un addio, per il maestro belga

Nel suo messaggio accluso in coda alle note del suo ultimo show da direttore creativo, Dries Van Noten ha citato Marcello Mastroianni e la sua “nostalgia del futuro”, una specie di romanticismo del guardare avanti, aggiungendo anche che questo show non rappresentava un gran finale. Non di meno, l’atmosfera era fiabesca: pochissime celebrità, una schiera di aficionados del brand e clienti storici ma soprattutto una riunione che raramente si vede di potenze della moda venute tutte a celebrare un compagno, un collega e un amico al suo canto del cigno. Ann Demeulemeester, Walter van Beirendonck, Haider Ackermann, Glenn Martens, Thom Browne, Diane von Frustenberg, Pierpaolo Piccioli e persino, secondo voci accreditate, Martin Margiela anonimamente presente tra il pubblico e uscito dalla sua (per assenza di termini migliori) latitanza per celebrare Van Noten. Il tema della “nostalgia del futuro” significava, per Noten, di non trattare il suo ultimo show come una playlist dei suoi grandi successi – il che avrebbe significato chiudere la sua opera entro un inizio e una fine ben delimitati, imbottigliandola per il futuro ma museizzandola, privandola cioè di slancio vitale, trasformandola in un’anatomia autoconclusiva. Invece, Van Noten ha preferito produrre il lavoro più raffinato possibile, lasciare la scena con un finale aperto che getta un ponte tra la conclusione del suo percorso e l’inizio di un cammino nuovo. Non è un caso che il designer abbia comunque sottolineato che non andrà semplicemente in pensione ma continuerà come una sorta di mentore a supervisionare il brand. 

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Proprio perché l’unica nostalgia presente era quella del futuro, Van Noten ha concepito una meditazione sull’eleganza oggi, andando come sempre al di là del classico limite del sartoriale per trasformare gli archetipi in qualcosa di più avanzato. Dominavano la collezione abiti e cappotti doppiopetto e monopetto con silhouette allungate e profili fluidi. Molti top erano più lunghi del normale e vagamente svasati, mescolando la maglia, la tunica, l'abito femminile in un ibrido deliziosamente indistinto. L’idea di layering viene capovolta con look composti da pantaloni o camicie creati in organza trasparente, abiti “normali” ma eterei che fluttuano in volumi traslucidi. L’impressione di una silhouette oblunga era ottenuta anche grazie ai pantaloni a vita altissima. La stratificazione visibile dei diversi capi ridisegna e abbraccia il corpo da un lato, e dall’altro fa dei materiali stessi e dei loro trattamenti un veicolo per il senso di vissuto e di storico che Van Noten intendeva trasmettere: «Prima di essere indossato, un capo di abbigliamento viene codificato con delle storie», si legge nelle show notes. «Quando il design nasce da un luogo personale, ogni dettaglio e decisione ha un significato. I materiali sono la prova del tempo e trasmettono emozioni; il modo in cui vengono trattati o trasformati. [...] Abiti che si muovono nella vita con con noi, portandoci avanti». E quanto avanti: c’era un cappotto spigato da uomo color bianco calce ricoperto da una stampa di fiori sbiadita ad arte; una giacca la cui fantasia damascata si accendeva agli orli e sui baveri diventando qualcosa di vicino allo zafferano o all’oro; stampe che svanivano girando intorno a un pantalone ma anche applicate a camicie tanto leggere da risultare semi-trasparenti ma anche capi ricoperti da un invisibile strato lucido, quasi fosse lacca cinese, ma anche revers che alzati rivelavano nuovi colori. La lista potrebbe proseguire ma guardare i look è semplicemente mille volte meglio che raccontarli a parole.

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Nell’accostamento e giustapposizione dei materiali si vedeva scintillare il pensiero: cotoni pesanti e leggeri, lino e organza, lana abbinata a neoprene, cotone e seta pongee, pelli e jersey pitonati ma anche superfici metalliche simili a mercurio liquido, poliammidi stropicciati, cashmere riciclati – una rassegna di materiali lavorati e rilavorati che, in pittura, corrisponderebbero agli sfumati, ai chiaroscuri e a tutti quegli artifici visivi che creano la ricchezza visiva di un quadro fiammingo. L’idea, come sempre, era provare a far scaturire una scintilla da qualcosa di quotidiano, risvegliare il significato di un certo abito tramite una contiguità solo apparentemente contraddittoria, l’illusoria pesantezza di un tessuto, il virtuosismo dei contrasti, dei dettagli sottili ma segretamente folleggianti come il look femminile in cui una tunica trasparente verde ricopre un lungo blazer grigio abbinato a short beige ricoperti dalla medesima organza verde e trasparente. Come ulteriori elementi decorativi ci sono stati in primo luogo l’impego di una tecnica giapponese di nome suminagashi che prevede la creazione di motivi marmorizzati a inchiostro sull'acqua, poi trasferiti sul tessuto, che creano disegni unici e casuali, indeterminabili a priori. C’erano anche stampe botaniche con grandi foglie e fiori e sontuosi ricami con rilievi in oro e gemme aggrovigliati, come rampicanti, a maniche, spalle, baveri. Ai piedi stivali destrutturati, tantissimi sandali e infradito, ma anche classici mocassini e babouches in stile marocchino che mescolavano suggestioni orientalistiche ai topoi già reinventati dell’abbigliamento occidentale. Il tutto nella più vasta varietà di colori: dai neri d’apertura e chiusura passando per il blu navy, l’écru, il cemento, i grigi, il rosa, l’oliva, il bordeaux, l’oro e l’argento, il pesca, il ruggine, il lime, il turchese – tutte palette sature che variavano in tonalità e intensità a seconda che fossero applicate su stoffe normali, lucide, o trasparenti. 

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C’è anche stato spazio per una sana nostalgia del passato, comunque: il modello che ha aperto la sfilata, Alain Gossuin, ad esempio, era lo stesso che 38 anni fa aveva aperto il primissimo show di Van Noten. E c’è da sospettare, se è vero che lo stesso Margiela fosse presente, che le emozioni collettive di Van Noten stesso e dei suoi colleghi e amici designer siano state altissime, come il capitolo conclusivo di una lunga saga al cui inizio tutti non erano altri che studenti di moda come tantissimi altri. Ma era ovvio che questo show sarebbe stato una celebrazione di questi affetti, un ritorno a casa per così dire, oltre che il culmine di una carriera portata avanti in un mondo della moda che affronta cambiamenti sempre più drammatici. Ricordiamo una sua intervista dell’anno scorso a WWD: «L'intera situazione delle celebrità sta sfuggendo di mano. Avere una celebrità in passerella, avere una celebrità in sala... ora penso che le recensioni riguardino più chi è seduto in prima fila che il tema della collezione. Per me, la moda merita molto di più che essere ridotta a qualcosa del genere». Se non si fosse voluto ritirare dalle scene, e giudicare dalla collezione, Van Noten avrebbe dentro di sé molto altro da dire e da fare. Non di meno, concludendo una lunghissima e onorata carriera, voltando pagina a questo punto della sua vita, l’individuo Dries Van Noten ci dice che nella vita bisogna andare avanti o farsi portare avanti proprio come nell’arte; che il passato non è l’ultimo rifugio dei sentimenti e che può esistere ricchezza senza ostentazione, intelligenza senza pretensione e passione senza consunzione.