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Il futuro della fashion week sta negli sgabelli

Come i brand dovrebbero approfittare di un involontario trend delle ultime fashion week

Il futuro della fashion week sta negli sgabelli Come i brand dovrebbero approfittare di un involontario trend delle ultime fashion week

Il miglior marketing non è quello virale, ma quello intuitivo. Quando si individua un’esigenza insoddisfatta e la si risolve con una semplice soluzione, dopo tutto, segue sempre un’ondata di gratitudine. Di recente, ad esempio, osservando la folla di fan del K-Pop e delle numerose celebrity cinesi, thailandesi e giapponesi che non mancano mai di ammassarsi fuori dalle sfilate formando schieramenti che ricordano le curve di uno stadio, un oggetto è entrato a far parte dei più impensabili oggetti di scena della fashion week: l’umile sgabello. Affollando le linee transennate, portando striscioni, e soprattutto sollevando ondate di urla che riecheggiano come per annunciare l’arrivo di queste figure venerate (in Corea del Sud, il loro nome non è “celebrity” ma “idols” per capirci) le frotte di giovanissimi fan, armati di fotocamera, hanno iniziato a portare con sé sgabelli di ogni tipo per elevarsi al di sopra della folla e riuscire a catturarne uno scatto. Il risultato è che fuori dalla venue di quasi ogni sfilata si vedono ormai schieramenti interi di sgabelli del genere – e pensando che ciascun brand possiede il proprio insieme più o meno fisso di ambassador è assai facile immaginare cosa succederebbe se questi sgabelli fossero forniti dagli stessi brand e, ovviamente, fossero decorati del loro logo.

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L’idea non è così eccentrica. Dopo tutto, per via di uno scarto culturale nella maniera in cui concepiamo l’idea di celebrity, l’intenso trasporto e l’emotività esagitata dei moltissimi fan del K-Pop sono considerati al limite del fanatismo per quella che nei meme si chiama “la mente europea”. Ma anche se le frotte di teenager urlanti sono spesso guardate con divertita condiscendenza dagli insider del settore, la loro presenza è l’effetto più immediato che i brand stessi si augurano di ottenere quando invitano star di questo calibro: folli adoranti fuori dalla sfilata e urla. È difficile da comprendere per chi vive da questo lato del globo perché l’unica star dotata di un potere tale sui propri fan è Taylor Swift, ed è una, mentre l’ecosistema di idols coreani, ma anche di mega-star di paesi per noi distanti, è popoloso e storicamente strutturato. Toccare la loro fandom, utilizzarla come una grande cassa di risonanza è già qualcosa che l’industria della moda ha imparato a fare. Ma rivolgersi direttamente a quella fandom non solo significherebbe assolversi da ogni accusa di strumentalizzazione ma potrebbe portare gli show di certi brand ad assurgere a nuovi livelli di viralità. Se domani uno dei grandi brand commerciali producesse sgabelli brandizzati da regalare a fotografi e fan, il giorno dopo se li ritroverebbe in vendita per decine di migliaia di dollari nei siti di resell di tutto il mondo.

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Provare a creare un oggetto del genere non solo rappresenterebbe un tipo di riconoscimento culturale per queste fandom che sono in primo luogo molto unite, ma anche molto attive e internazionali sul web; ma rappresenterebbe una possibilità forse unica di far dialogare un brand di moda onnipresente ma finanziariamente inaccessibile con la porzione più elettrica del pubblico di Internet. L’unico ostacolo da superare (dato che non manca di certo la possibilità di produrre oggetti simili) sarebbe la resistenza che la parte più intellettuale dell’industria e dei brand prova verso questo mondo di celebrità che, semplicemente, fa fatica a comprendere. Già non si può girare uno show senza sentire i giornalisti lagnarsi della centralità di cui ogni tipo di celebrity gode, rendendo l’esibizione e l’analisi della moda un processo ancora meno profondo e particolare, appiattendolo nello scatto di un flash acciecante – dunque si può immaginare come questo letterale fan service potrebbe sembrare un espediente basso. Ma se c’è una cosa che abbiamo capito quest’anno è che nessun brand è troppo forte per permettersi di ignorare il pubblico – e dunque perché non sfruttare al meglio un supporto che c’è già?