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La moda ha un problema di rapinatori

Due colpi in due giorni segnalano un trend inquietante che non riguarda come ci vestiamo

La moda ha un problema di rapinatori Due colpi in due giorni segnalano un trend inquietante che non riguarda come ci vestiamo

Nella notte tra sabato e domenica, a Roma, una banda di rapinatori è entrata nella boutique di Bulgari in Via Condotti attraverso un buco nel pavimento e ha rubato gioielli per circa 500.000 euro. Nemmeno ventiquattro ore dopo, a Parigi, nel pieno di Avenue Montaigne un’altra banda di quattro ladri è entrata nella boutique di Chanel in maniera molto meno discreta (ovvero sfondando la vetrina con un’auto in corsa che è poi stata data alle fiamme) per poi svuotare vetrine ed espositori e scappare con un bottino che si aggira tra i sei e i dieci milioni di dollari. Sempre su Avenue Montaigne un’altra banda di ladri ha seguito lo stesso modus operandi lo scorso 19 maggio, questa volta derubando la gioielleria Harry Winston, e causando danni per milioni di euro. Negli ultimi giorni di maggio sono serviti solo 43 secondi perché due uomini mascherati prendessero d’assalto la boutique di un hotel di Miami rubando 1,8 milioni di dollari in borse di Hermès per poi darsi alla fuga; qualche settimana prima un negozio di Bottega Veneta a Bellevue, negli USA, era stato rapinata da una banda di quattro minorenni mentre, lo scorso febbraio, a New York, era stata la boutique di Gucci a New York a essere derubata di 50.000 dollari di merce da rapinatori armati. A marzo, è stata messa in manette una gang di tre ladri californiani che in una serie di rapine aveva sottratto 300.000 dollari di merce da diverse boutique lungo la East Coast. E questo senza menzionare i casi di furto con destrezza di diversi orologi Richard Mille a Milano, una delle quali ha pure coinvolto il pilota di F1 Carlos Sainz. Insomma, il mondo della moda ha un problema di rapinatori?

Ora, se l’immagine di un rapinatore in passamontagna che sfonda le vetrine di una gioielleria è qualcosa di quasi scontato e banale, e giustifica le molte e diverse misure di sicurezza che si vedono applicate in negozi che si occupano di gioielli o orologi, è forse una cosa nuova sentire di ladri che rubano borsette, scarpe e vestiti da una boutique di Chanel o Gucci. E questo perché se i gioielli possono essere fusi e le pietre preziose divelte dai loro castoni, abiti e borse rubate non solo risultano una refurtiva ingombrante (specialmente se provvisti delle scatole originali) ma, se dovessimo immaginarci il lavoro di ricettazione, potrebbero essere seriamente svalutati se venduti sotto banco. Eppure dietro questi furti potrebbero esserci dei giri internazionali: quando hanno arrestato i ladri di Richard Mille di Milano, ad esempio, le forze dell’ordine hanno rintracciato l’orologio rubato in Cina – la refurtiva aveva praticamente attraversato il mondo. A volte la soluzione risulta più semplice. Quando gli impiegati di Prada avevano scoperto i furti avvenuti nel proprio laboratorio si erano resi conto che un’inserviente li sottraeva per poi farli rivendere sulle principali piattaforme di secondhand da alcuni familiari. Valore complessivo dei furti: 300.000 euro. Non di meno, rivendere su Vinted sembra una procedura molto lenta per sbarazzarsi di grandi quantità di merce rubata. Specialmente considerato come i furti recenti di Roma e di Parigi abbiano tutto l’aspetto di operazioni studiate con grande cura: nel caso del furto da Chanel, ad esempio, i ladri avevano due auto, una è stata usata come un ariete e incendiata; l’altra era un mezzo di fuga.

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Sia come sia, questo grande numero di rapine organizzate a diversi livelli di preparazione evidenzia che i criminali si siano resi conto che dietro ogni boutique o vetrina di distretti del lusso come Montenapoleone si nasconda un magazzino pieno di prodotti dal prezzo elevatissimo, assai richiesti e dunque facilmente “smaltibili” attraverso canali più o meno tracciabili. Ma soprattutto, i brand di moda sono vittime perfette perché, banalmente, sono più preparati ai taccheggiatori che ai rapinatori, armati o meno che siano. Molti magazzini di Montenapolone, benché relativamente blindati e in sicurezza, hanno praticamente una o due sole porte a separarli dal mondo esterno e, al loro interno, si nascondono stanze piene di potenziale refurtiva: una singola borsa può essere rivenduta anche al ribasso per diverse migliaia di euro. Ad ogni modo, la questione della security già l’anno scorso era diventata bollente quando prima dello show di Balmain, 50 pezzi vennero rubati poco prima dello show con una specie di agguato a Parigi costringendo il team del brand a ricostruire tutto prima dell’effettiva sfilata. I pezzi non sono ancora stati recuperati né sono chiari i retroscena di un furto il cui movente potrebbe essere solo un sabotaggio o la vendita di quei pezzi unici a qualche collezionista privato. 

Sempre l’anno scorso uno studio di Communication Specialist pubblicato su Forbes non dipingeva un quadro ambiguo della questione. Prendendo in considerazione i senior executive di negozi di lusso con vendite di 3,1 miliardi di dollari su quattro continenti (non venne inclusa l’Australia) risultò che il 62% dei dirigenti disse di attendersi una crescita dei crimini, ma il 31% si aspettava un “aumento drammatico” dei furti. E anche se il 24% riteneva la sicurezza eccellente, il 62% solo buona e la restante percentuale nella media, si stimava che le spese in sicurezza sarebbero aumentate tra il 28% e il 40%, un sicuro riflesso dei provvedimenti che i brand stanno adottando in un mondo dove a scarseggiare sono i soldi e non i ladri.