Com’è la nuova serie tv su Karl Lagerfeld
Arrivata su Disney+ nel weekend, “Becoming Karl” racconta gli esordi del designer a Parigi
10 Giugno 2024
Il 2024 è l’anno in cui il mondo dell’audiovisivo ha scoperto la moda. Se in passato le biografie dei grandi designer erano poche e lontane tra loro, con l’eccezione del 2014 in cui uscirono due film sulla vita di Saint Laurent, quest’anno ci ha regalato la biografia di Cristobal Balenciaga, le vicende (altamente romanzate e manipolate) del rapporto tra Dior e Chanel durante la Seconda Guerra Mondiale e, questo weekend, la storia di Karl Lagerfeld sotto forma della mini-serie Becoming Karl. Gli episodi dello show seguono la storia di un Lagerfeld già maturo, interpretato dal sempre brillante Daniel Brühl, che si districa tra una carriera che lo vede come simbolo del prêt-à-porter in ascesa, la complessa vicenda sentimentale che lo vede legato a Jacques de Bascher e la rivalità con Yves Saint Laurent. È una serie che prova a fotografare un complesso momento di transizione come ad esempio nella scena in cui Lagerfeld paragona il successo del suo prêt-à-porter da Chloé all’avanzata della borghesia che sostituisce l’aristocrazia moribonda dell’haute couture. Ma la serie prova anche collateralmente a definire la dinamica delle influenze che anima il sistema di giornalisti, imprenditori e designer; oltre che le complessità umane, le rivalità e le schermaglie private che ancora oggi animano l’industria.
Un punto interessantissimo delle prime due puntate dello show è la discussione sull’identità femminile nella moda: da un lato Lagerfeld dice che «la moda non ha niente a che fare con le donne, altrimenti non ci sarebbero così tanti gay nell’industria» a cui risponde a distanza il personaggio di Marlene Dietrich che, rifiutandosi di indossare una creazione di Lagerfeld, gli ricorda che un designer «è uno specchio della donna che sta vestendo: tu esisti solo se il riflesso nello specchio mi piace». Come dicevamo, lo show fotografa il passaggio della moda dalla haute couture al prêt-à-porter presentando inizialmente Lagerfeld come un orgoglioso mercenario della moda che adotta stili ed estetiche diverse a seconda che disegni per Chloè, Fendi e altri brand di moda. La sua ambizione è però diventare un “autore”: si discute a un certo punto su che nome dare alla sua linea per Chloè con lui che vuole il suo nome per primo e Gaby Aghion che invece vuole per primo il nome del brand. Quando Lagerfeld potrà incontrare Marlene Dietrich per disegnarle un abito che potrebbe dare una svolta alla sua carriera, la diva tedesca lo fredda con una domanda a bruciapelo: «Hai uno stile?» In tutta risposta, Lagerfeld prende un taccuino e disegna al momento un abito diverso per ogni “era” della carriera di Dietrich.
some photos of daniel brühl from the set of "becoming karl lagerfeld"
— lna (@aaeln_) June 7, 2024
(ig: arnaudvalois) pic.twitter.com/kGGZ2yqLjC
Il che è anche un’astuta allusione al metodo di lavoro di Lagerfeld, privo di un preciso centro estetico e invece più incline a un totale eclettismo. Per il Lagerfeld dello show la moda «è una maniera di incarnare lo zeitgeist, di riflettere la vera natura società» che dunque ha tante variazioni quanti i momenti che vive la società stessa. Lo show affronta anche la complessa psicologia di Lagerfeld, un uomo la cui vita è ampiamente documentata in pubblico ma assai meno in privato, e che per gli stessi comprimari dello show rimane una creatura enigmatica. Dalla sua mania di controllo che lo spinge a essere casto per non sbilanciarsi nei confronti dei suoi amanti, fino alla tendenza ad affogare i dispiaceri nei dolci, passando per diverse fissazioni sugli abiti, Lagerfeld è dipinto come un uomo molto irrigidito nella sua ricerca di credibilità, a volte brusco e caparbio nel gestire i conflitti con altre persone, incapace (sia metaforicamente che letteralmente) a “sbottonarsi” con gli altri. A un certo punto Gaby Aghion, indovinando la sua volontà di diventare unico direttore creativo di Chloè, gli chiede di essere franco ma lui ha difficoltà a dichiarare quello che vuole, pretende quasi di indurre Aghion ad avanzargli una proposta di lavoro e solo alla fine, cedendo, ammette di nutrire quell’ambizione.
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Se c’è però una cosa che lo show non tocca sono gli aspetti controversi della vita del designer e di chi lo circondava. Il caso più evidente è quello di Jacques de Bascher, personaggio dipinto in una luce assai più umana di quella in cui lo dipinse Bertrand Bonello nel suo stupendo biopic Saint Laurent. La serie contestualizza molto la smodatezza della vita sessuale di De Bascher, che non viene dipinto unicamente come una specie di volgare sessuomane, ma come una persona dotata di dubbi e complessità. Non di meno, non si fa menzione del fatto che De Bascher morì di AIDS a 38 anni dopo anni di droga e bagordi; così come non si menziona da nessuna parte la tendenza di Lagerfeld a falsificare la sua età e le sue origini, affermando di discendere dalla nobiltà tedesca e svedese (i genitori di Lagerfeld erano tedeschi e suo padre era membro del partito nazista, tra l’altro). Il resto delle controversie che circondarono il designer si verificarono dopo gli anni 2000 e dunque molto dopo i fatti descritti nello show - ma anche se il complesso legame del designer con il cibo viene mostrato, non si parla della maniera in cui Lagerfeld amava criticare il fisico di chi lo circondava. Tutte cose che i critici d’oltreoceano hanno preso molto a cuore ma che in realtà aderiscono all’intento degli autori di descrivere una parabola artistica e professionale e non di fare una cronaca piccante degli eccessi di una certa epoca. Per chiunque non sia familiare al mondo dei grandi designer d’altri tempi o alle dinamiche della moda, Becoming Karl è uno stupendo crash course. Ma nessuno si aspetti di sentire l’anderseniana esclamazione: «Il re è nudo!».