L’estetica Scooby-Doo sta per tornare?
Non chiamatela una serie anni 2000
03 Maggio 2024
Azzurro, viola, arancione e verde sono i quattro colori primari che guidano l’estetica di Scooby Doo, senza dimenticare il manto maculato del protagonista a quattro zampe. Non è un caso che molti dei nostri ricordi del cartone animato siano legati allo stile dei personaggi principali: la serie animata è stata mandata in onda per la prima volta alla fine degli anni ’60, decennio in cui il colore debuttava per la prima volta in televisione e in cui le mode erano all’apice della loro eccentricità. Minigonne, jeans a zampa, collant a fiori e occhiali oversize dominavano lo street style dell’epoca, codici stilistici dello stile Mod e Hippie che hanno reso la serie di Hanna-Barbera un successo atemporale. A distanza di ventidue anni dal primo live action - al tempo snobbato pesantemente dai critici per gli effetti CGI di bassa qualità e la recitazione del cast, oggi un film cult - Scooby-Doo torna a divertire un pubblico di affezionati con una nuova serie targata Netflix. Secondo quanto riportato da Variety, la casa di produzione avrebbe appena acquisito i diritti per uno spin off contemporaneo, ma nonostante ulteriori dettagli sul progetto di Netflix siano ancora nascosti al pubblico - si dice che Josh Appelbaum e Scott Rosenberg saranno gli sceneggiatori - nulla ci trattiene dal sognare una nuova avventura della Mystery Inc.
Il successo del live action del 2002 ha sedimentato nell’immaginario comune la convinzione che lo stile di Scooby Doo fosse una visione y2k, ma niente può essere più lontano dal vero. Trasmessa per la prima volta negli Stati Uniti nel 1969, la serie è la rappresentazione grafica perfetta del suo tempo. A bordo di un pulmino Volkswagen, la banda composta da Velma, Shaggy, Fred, Daphne e Scooby personifica lo zeitgeist giovanile dell’epoca, e non solo per il loro look. Come aveva ben previsto l’intuito del produttore Fred Silverman e la Hanna-Barbera, gli anni ’70 sono stati punteggiati da una marcata passione comune per l’occulto, la stregoneria e il paranormale, confermate dall’uscita di titoli ormai culto come L’Esorcista, Rosemary’s Baby, Suspiria, o ancora dalle note mistiche dei Fleetwood Mac o dei Pink Floyd. La precisione con cui Scooby Doo riesce a inquadrare il segno dei tempi di allora riflette chiaramente il taglio lungimirante della ricerca sugli interessi della società di Silverman e di Hanna-Barbera, delle tematiche così come dello stile. Nella stessa ottica, la casa produttrice ha firmato negli anni un’infinità di serie di simile impronta, come le Powerpuff Girls: prodotta agli sgoccioli del Ventesimo secolo, nel cartone animato viene riprodotta l’estetica space-age anni ’60 che era tornata di moda in quegli anni in vista dell’arrivo del nuovo millennio. A distanza di trent’anni da un altro successo spaziale di Hanna Barbera, i Jetsons, Le Superchicche indossano iterazioni animate delle collezioni di Pierre Cardin, mentre a casa loro troviamo la Lounge Chair di Ray Eames e altri capolavori dell’interior design.
Tornando allo stile della banda risolvi-misteri più amata della televisione (mettiamo da parte, per un attimo, Buffy e Ghostbusters), occorre riconoscere l’incredibile capacità del team di disegnatori - Joe Ruby, Ken Spears e Iwao Takamoto - di assegnare ad ognuno dei personaggi un archetipo anni ’70. Daphne Blake è una diva firmata Mary Quant, ossessionata dalle mode: nel cartone porta un abito A-line viola e collant rosa, un foulard verde al collo e un cerchietto in tinta con le scarpe per tenere ordinata la folta chioma rossa, nel film del 2002 si presenta in vacanza con una marea di valigie Louis Vuitton, anche loro in tinta con l’outfit. Il compagno Fred Jones è il leader, all’inizio della serie il più responsabile e sportivo della banda. Da vero Mod, porta jeans attillati e una polo bianca ben stirata, capelli biondi attentamente pettinati e un fazzoletto arancione al collo. C’è poi Velma Dinkley, che da vera secchiona anni ’60 non si separa mai dal suo spesso maglione a collo alto arancione, da un paio di spessi occhiali da vista che puntualmente perde nei momenti clou di ogni episodio e dalle sue mary-jane rosse. Per ultimo Shaggy Rogers: pauroso e goloso come il suo cane Scooby, la sua passione per gli snack ha dato vita ad una serie di ipotesi (più volte smentite) sulla natura della sua fame inappagabile. Effettivamente, anche il suo look fa l’occhiolino all’estetica dello stoner, dalla barba sfatta alla palette dai toni naturali, passando per il fit volutamente trasandato ad indicare la sua goffaggine. Ma la vera star anni ‘70 della serie è senza dubbio la Mystery Machine con cui il team si sposta da un mistero all’altro, un pulmino VW decorato in piena estetica californiana che è rimasto invariato in ogni versione del franchise. Chissà se anche Netflix deciderà di lasciare inalterata l’estetica technicolor di Scooby Doo, o se ci ritroveremo di nuovo di fronte ad uno stravolgimento totale di un capolavoro di animazione. Nell'attesa di altre notizie, non ci resta che riguardare l'iconico film del 2002 con Mr Bean nei panni di cattivo, assieme al piccolo Scrappy Doo.