Il primitivismo onirico di Francesco Risso per la FW24 di Marni
«Se per caso entrate in una caverna di carta, non portate vestiti»
26 Febbraio 2024
Alberto Castellano
Pellicce variopinte in una caverna di cartapesta, silhouette spigolose, capi dipinti a mano ispirati a "La notte stellata" di Vincent van Gogh: la collezione FW24 di Marni nasce da un intento di riduzionismo. «Se per caso entrate in una caverna di carta, non portate vestiti» recitava l’intimo invito di Francesco Risso, citando una lettera in cui Virginia Woolf spronava i suoi amici a recarsi in campagna senza sovrastrutture inibitorie: «Ho capito che non stava suggerendo loro di arrivare nudi, ma semplicemente li incoraggiava a togliere le strutture punitive dei vestiti e tutte le loro implicazioni simboliche, perché qui, siamo solo noi.» Dal desiderio di ritornare all’essenziale, di usare gli abiti per rivelare piuttosto che nascondere o mascherare, il processo creativo inizia con l’azzeramento. La carta bianca è un tropo ricorrente per Risso: durante la sfilata FW23 a Tokyo lo scorso anno l'arena interna e il podio del Yoyogi National Gymnasium erano stati tappezzati con un'enorme quantità di fogli di carta giapponese. Similmente, per preparare la sua ultima collezione, il direttore creativo e il suo team hanno trasformato la sede di Marni rivestendo ogni superficie in un tentativo radicale di eliminare le distrazioni visive, vietando immagini, moodboard o qualsiasi altro stimolo, in una rivoluzione iconocasta.
Lavorare senza riferimenti visivi ha portato in superficie un approccio istintivo, quasi primordiale al design; forme e volumi sono stati privati di tutto ciò che era "para-essenziale" e riportati a uno stato di purezza. In contrapposizione al bianco ottico, quasi a rappresentare le forze opposte che si mescolano al momento della creazione, i primi abiti a varcare la soglia della passerella sono internamente neri e giocano su silhouette sorprendenti e spigolose. Tasche, bottoni, pinces, qualsiasi componente superflua è stata eliminata, affinché l’unico elemento evocativo fosse, almeno in un primo momento, la forma. Mantelli geometrici, abiti a campana e cappotti ovali lasciano man mano spazio al blu notte e al marrone, mentre enormi sciarpe di pelo avvolgono i capi come un drappo. Subentrano le stampe animalier, il mohair che da sempre contraddistingue il lavoro di Risso e un caleidoscopio di colori che dal grigio al panna si fa sempre più intenso, sino a sfociare in pennellate che ricordano la vernice stratificata di Van Gogh. Le texture hirsute dei blouson pelosi sono state gellificate e poi dipinte a mano per ottenere una finitura pungente, i copricapi primordiali fanno eco alla FW98 di Martin Margiela, mentre le calzature spaziano tra fur mules, ballerine dalla punta tondeggiante, decolleté affusolate.
Così come nel mito della caverna di Platone il riflesso del sole permette di conoscere gli oggetti, nella personale caverna di Risso ricavata in un tunnel sotto i binari di Stazione Centrale, l’eliminazione coatta di qualsiasi stimolo esteriore consente di scoprire forme e materiali con lo stupore delle prime volte. La riscoperta di una gioia della creazione che passa dai ricordi d’infanzia, quando «tutto era lecito. Prima dell'imposizione di convenzioni, regole, strutture e specchi, la creazione era senza limiti; un'esperienza ultima di leggerezza», quando “manipolando tessuti” Risso costruì uno “zoo interno” per il suo silenzio. A distanza di 8 anni dal suo insediamento alla direzione creativa di Marni, il suo estro continua ad esplorare le derive del design nella sua essenza più candida, dai grandi pois onirici presentati a Tokyo ai variopinti abiti di latta che hanno debuttato a Parigi, per poi tornare di nuovo a Milano in un primitivismo che sa di avanguardia: «E così, dopo tanti anni, sono ancora qui a montare e smontare».