Roma ha un problema con la moda?
L’autosabotaggio politico della Città Eterna
29 Novembre 2023
Scrivere di Roma è come giocare a carte scoperte con il tempo: passa in fretta, non passa mai, una corsa persa in partenza. Specie se parliamo di moda. Riavvolgendo il nastro della pellicola amarcord scritta e diretta dalla Città Eterna, torna in mente l’immagine della Hollywood sul Tevere, del «Coraggio, il meglio è passato», di Audrey Hepburn e dei divi americani immortalati dai paparazzi sempre in agguato in via Veneto. La moda, negli anni della Dolce Vita, era più viva che mai ed era rintracciabile nel lavoro creativo delle Sorelle Fontana, di Irene Galitzine, Fernanda Gattinoni o Emilio Schuberth. A seguire la couture di Capucci, Lorenzo Riva, Valentino Garavani e la pelletteria di Fendi, nonché la scena mediatica di Donna sotto le stelle interrotta nel 2003.
Avendo messo in discussione per quasi 50 anni le parole del couturier Lucien Lelong secondo cui «la couture esiste a Parigi, o non esiste affatto», la geografia della moda italiana aveva visto in Roma una Parigi destinata a sgretolarsi - i resti si intravedono in brand rilevanti a livello internazionale come Bulgari, Fendi e Valentino tuttora fedeli alla città che li ha visti nascere. Le reliquie includevano, almeno fino a un anno fa, gli uffici stile di Gucci a Palazzo Mancini in via del Corso e una settimana della moda volta alla promozione e alla valorizzazione di giovani talenti nazionali e internazionali. La notizia dei lavoratori di Gucci in sciopero contro lo spostamento dell’ufficio stile da Roma a Milano, inserita all’interno del quadro politico romano, non è una notizia: la moda, qui, si sta autosabotando da tempo.
Se Firenze, attraverso Pitti Immagine (punto di riferimento per la moda maschile), non ha ancora trovato una risposta adeguata alla crisi delle fiere, «Roma, con AltaRoma, da troppo tempo si accontenta di vivacchiare» scrive Maria Luisa Frisa nella seconda edizione de Le forme della moda. AltaRoma, che aveva istituito la sua fashion week nel 2004, è stato l’unico consorzio laziale impegnato nella gestione di concorsi ed eventi di moda a Roma fino al 2023, data in cui la società ha comunicato la sua liquidazione. La stessa Silvia Venturini Fendi, Presidente di AltaRoma dal 2010, ha rilasciato un’intervista ad Artribune in cui ha dichiarato che «la Società è in liquidazione, deliberata a gennaio dall’Assemblea dei soci, su richiesta della Regione Lazio, al fine di avviare la costituzione della nuova Fondazione che ne avrebbe dovuto, come era naturale, ereditare asset e know-how secondo gli intenti più volte dichiarati dai soci». Se nel corso del tempo Altaroma ha agito da incubatore di talenti come nel caso di Massimo Giorgetti o di Satoshi Kuwata (vincitore del LVMH Prize), le potenzialità della Società sono state continuamente ostacolate dalla mancanza di una strategica collaborazione istituzionale. «I tanti e nuovi progetti della Fashion Week di Altaroma erano supportati da Bulgari, Gucci, Fendi e Valentino - continua Venturini - “poi, dopo qualche anno, iniziarono i problemi: qualche socio chiese di uscire dalla società, altri desiderarono tornare alla moda-spettacolo e nel 2015 il primo dimezzamento dei fondi». Dopo l’elaborazione di un piano industriale triennale (2016-2018) e l’interessamento da parte del MISE, nel 2017 il contributo annuale soci venne tagliato di oltre il 90% rispetto al 2014. Il colpo di grazia, infine, nel 2023: “Addio ad Altaroma” scrive su Il Foglio la giornalista Fabiana Giacomotti, “forse le scuole sfileranno ai giardinetti”.
“Roma ha vinto” titolava un pezzo di Franca Sozzani apparso su Vogue Italia negli anni 2000 - l’editor-in-chief dell’allora più iconica rivista di Condé Nast alludeva ad un Rinascimento della moda romana che, di fatto, non c’è stato. Al di là degli scenari fintamente rosei delineati in più di un’occasione dall’assessore ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda Alessandro Onorato e nonostante Vogue abbia scelto la Città Eterna come sede dell’iniziativa Forces of Fashion nel mese di ottobre registrando più di 7000 visitatori, la realtà è che Roma ha un problema non risolto con la moda. «Se Roma, nella moda, torna a fare solo da sfondo a eventi seppur apprezzabili e prestigiosi, come accadeva con Donna sotto le stelle, e non difende, consolida e valorizza un proprio ruolo che la renda riconoscibile e rispettabile nel sistema moda nazionale e internazionale, temo che finirà relegata tra le città destinate a vivere di rendita, ambita più da turisti in cerca di selfie che da imprese, creativi e professionalità portatori di idee e valore aggiunto» ha spiegato Silvia Venturini Fendi. Non è solo l’area del design a soffrire della mancanza di una scena creativa e industriale in grado di riflettere criticamente sulla moda, ma anche la compagine editoriale fatta di magazines e agenzie pr - non si capisce, peraltro, come una città così profondamente legata alla settima arte possa nutrire del risentimento verso il mondo della moda.
Se in America la produzione di film e serie tv sottende una costruzione dei personaggi che passa anche per la scelta ponderata dei costumi, collaborazioni con brand di lusso e rivisitazioni degli archivi delle maison, il cinema italiano preferisce puntare su inquadrature insipide dal punto di vista vestimentario. Chi snobba chi, in questo caso, non è dato saperlo. Assopita la matrice creativa e messe in stand by tutte le operazioni nell’ambito del talent scouting, il copione di Roma nel sistema moda italiano e internazionale sembra essere privo di battute. Battute che, a metà ottobre di quest’anno, si era conquistato Giancarlo Giammetti con un post di recruiting apparso sul suo account Instagram in cui annunciava l’arrivo di un progetto della Fondazione Valentino & Giancarlo Giammetti dedicato alla moda, Accademia. Dopo aver annunciato una conferenza stampa per spiegare tutti i dettagli del progetto in questione, di quel post non c’è più traccia. La moda è un atto profondamente politico - il problema stesso della moda a Roma è di natura politica. È politico perché inscena un tempo e uno stile che mal si conciliano con l’idea di borghesia milanese. È politico perché rigetta l’idea di settorialità e si trova a fare i conti con un patrimonio archeologico fatto di incastri di forme e tessuti su uno sfondo bianco marmo. È politico perché ha un disperato bisogno di essere ripensato e riformulato nella sua collettività: nei modi, nei modelli, nella moda.