Quest’inverno il pantalone di pelle è tornato
Insomma, la regola è “edgy ma comodi”
29 Novembre 2023
Uno dei passaggi più interessanti della famosa intervista che Kanye West rilasciò nel 2013 alla BBC quando raccontò della sua internship da Fendi, ha a che fare con i pantaloni di pelle. «Abbiamo portato i pantaloni da jogging in pelle sei anni fa a Fendi e loro hanno detto "no". Quanti figli di puttana hai visto con un pantalone da jogging in pelle?», aveva detto West. E se la dichiarazione risale a dieci anni fa, sembra valida ancora oggi: non solo nelle scorse stagioni si sono visti pantaloni di pelle apparire in numerosissime sfilate, ma il modello più popolare sembra essere proprio quello baggy – simile in spirito ai famosi jogger di Kanye e Virgil Abloh ma privo degli elastici alle caviglie. Ha avuto molto senso, concettualmente, vederne una grande abbondanza nella collezione che Pharrell ha firmato per Louis Vuitton, portando un senso di continuità al vocabolario stabilito da Abloh negli anni passati, ma non ne sono mancati altrove: ovviamente presenti nei repertori di Celine e Saint Laurent, immancabili da Enfants Riches Deprimès, così come da EgonLab e Rick Owens, più insoliti da Emporio Armani, da Fendi, da Zegna e certamente più eccentrici che mai da Loewe dove Jonathan Anderson li ha trasformati in una sorta di tuta surrealista. In queste varie istanze, il vibe del pantalone non è troppo cambiato: tutti larghi e assai morbidi, lussuosi nell’opulento abbandono dei drappeggi e delle consistenze densissime, quasi sempre usati per creare un ricco contrasto tattile e cromatico con il top a essi abbinato.
Ora, il concetto di pantalone di pelle risale ad almeno centocinquanta anni fa: se un po’ ogni civiltà della storia ha impiegato il cuoio per creare pantaloni (dai subligacula dell’Antica Roma fino ai tradizionali lederhosen bavaresi) l’ascendenza di quelli che indossiamo noi oggi è tutta Americana. Nati in seno alle vaste popolazioni di Nativi Americani, i pantaloni di pelle vennero adottati sotto forma di chaps dai cowboy sigillandone il destino per le generazioni future attraverso il cinema western degli anni ’40 e in seguito attraverso la sua traduzione nel lessico visuale dei motorcycle club nati dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ad associarli alla musica rock pensarono Eddie Cochran, che li indossò per la prima volta in televisione nel ’60, e poi brevemente dai Beatles e soprattutto da Elvis Presley per il Comeback Special del 1968. Negli anni ’50 invece un film tedesco che ricalcava l’iconico Gioventù Bruciata con James Dean, di nome Die Halbstarken vestì il giovane attore Horst Buchholz di pantaloni di pelle nera per l’intero film. Il messaggio? Era un ribelle. Da lì in poi, tra Jim Morrison e Patti Smith, la storia del pantalone di pelle proseguì fino agli anni ’80 spargendosi tra sottoculture queer, villain cinematografici e sempre nel mondo della musica dove, tra Micheal Jackson e i Run DMC, il pantalone di pelle divenne effettivamente baggy. Nel frattempo, è chiaro, si spogliò almeno in parte dei suoi significati ribelli diventando sicuramente qualcosa di insolito anche se la cultura di anni ’90 e primi 2000 li relegò ai film fantasy, ai primi supereroi cinematografici e alla vida loca di Ricky Martin. Oggi però il loro significato appare cambiato.
Se brand come Celine ed Enfants Riches Deprimès (ma anche Our Legacy) conservano abbastanza radici nel mondo rock da mantenere il pantalone di pelle un simbolo di celebrità, eccesso, edonismo e trasgressione con inflessioni a metà tra il sadomaso e il paramilitare, l’operazione che si è fatta in altri brand è assai diversa. Liberato dai suoi limitanti connotati culturali, il pantalone di pelle si presenta oggi nell’immediatezza della sua estetica, come pura esibizione della preziosità dei suoi materiali. In numerosi look, il pantalone di pelle nera viene o inserito in un ensemble semi-formale come inaspettato sostitutivo di un jeans o di un pantalone grigio-nero; oppure viene messo deliberatamente a contrasto con un top dalla consistenza specifica: EgonLab lo abbina alla pelliccia con cut-out dal sapore sadomaso; Armani e Fendi lo mescolano a un top a rete; brand come Saint Laurent, Zegna, Louis Vuitton e JW Anderson lo abbinano a semplici camicie, blazer o in generale alla maglieria – virtualmente ogni stoffa, anche il più banale cotone, assume un suo risalto abbinato alla lucidità della pelle, alla sua struttura e anche alla sua durezza. In un’annata dominata dal quiet luxury, in cui, cioè, un po’ dovunque si mette il branding a tacere e sono le superfici, i colori e i tagli assumere una loro rilevanza (anche a costo di sorprese o guizzi d’idee particolari) il lusso va comunicato attraverso materiali che, senza ambiguità, parlino di ricchezza. La pelle sarebbe tra questi. Speriamo, però, di non dover parlare domani di pantaloni in cachemire.