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Le acconciature più iconiche del fashion system

E se la creatività passasse per i capelli?

Le acconciature più iconiche del fashion system  E se la creatività passasse per i capelli?

Anna Piaggi li faceva tagliare solo da Vidal Sassoon, Yves Saint Laurent viveva con il terrore di perderli, Rick Owens li porta lisci e lunghi fino alle spalle: i capelli, come tutto ciò che abita il nostro corpo, diventano veicolo di comunicazione a tutti gli effetti. In passerella, per strada, nei saloni di città e province o negli uffici stile di brand e magazines, sullo styling dei capelli si possono intavolare discussioni lunghe ore. Pur essendo destinati ad una caduta fisiologica scandita dal loro ciclo vitale, i capelli vengono continuamente manipolati dai nostri tagli e acconciature - il MoMA, nel 2018, si è persino chiesto quali potessero essere le implicazioni politiche e identitarie che andassero ad intaccare questa massa pilifera composta per lo più da cheratina e ponti di solfuro. Le risposte, come per qualsiasi veicolo di soft power, non sono arrivate in forma assoluta. Per questo abbiamo interrogato le teste di alcuni dei creative director che hanno scritto la storia della moda, provando ad interpretare le diverse linee di pensiero rispetto alla moda e ai suoi processi creativi assumendo le loro chiome come insindacabile parametro di giudizio. Ecco, dunque, cosa ci dice la creatività delle chiome dei direttori creativi della fashion industry.

Ai vertici di Condé Nast 

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Se aveste visto il documentario The September Issue, vi sarete resi conto di quanto l’accoppiata Anna Wintour - Grace Coddington si regga su contrasti volutamente funzionanti: al rigore geometrico del bob definito ad altezza mandibolare del capo dell’intero ecosistema Vogue si contrappone il volume fulvo e  indisciplinato della creative director di Vogue US. La prima si affida esclusivamente alle forbici di Andreas Anastasis, la seconda si è tinta di rosso per la prima volta negli anni ‘90 su consiglio di Steven Meisel. Fu proprio l’allora fidanzato del celebre fotografo ad occuparsi della sua prima colorazione, anche se poi la Coddington, su consiglio della fashion editor Phyllis Posnick, ha consegnato la sua chioma  a Louis Licari. Quel che è certo è che non rinuncerebbe mai al suo rosso, «perché ti tira su il morale. Voglio dire, ogni volta che vado a rifare il mio, è come fare un respiro grande e profondo in qualche modo.» 

La coda di Karl Lagerfeld

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La creazione di un mito, il più delle volte, passa attraverso la strutturazione di un personaggio immediatamente riconoscibile. Karl Lagerfeld l’aveva intuito già nel corso degli anni ’70 quando legava i suoi ricci in una morbida coda bassa - non immaginava che, su indicazione del team di comunicazione di Elizabeth Arden, la coda sarebbe diventata un suo inconfondibile marchio di fabbrica. Per preservare il successo delle sue campagne e dei suoi introiti, Il Kaiser della moda firmava così la sua acconciatura con la cipria bianca ripercorrendo un’usanza in voga tra gli uomini del XVIII secolo. «Dopo che i suoi capelli sono diventati del tutto bianchi, amava spruzzare la sua ponytail con dello shampoo a secco bianco à la Maria Antonietta e dovevo sempre spolverare l’eccesso di polvere dalla giacca quando veniva fotografato,» racconta l’’hairstylist e collaboratore Sam McKnight. Lagerfeld, d’altronde, sapeva che per potere pensare in rosa occorreva un’armatura in bianco e nero.

Le onde anni ’60 di Miuccia Prada

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Ha recentemente portato in passerella gli hangover hair insieme alll’hairstylist Guido Palau con la collezione FW23 di Miu Miu: i ciuffi fuori posto delle modelle, come se si fossero appena alzate dal letto, alludono ad un modo di pensare e di vestirsi preventivamente istintivo. Osservando l’acconciatura della direttrice creativa di Prada e Miu Miu, è facilmente intuibile constatare come nella designer riescano a convivere due archetipi opposti: Miuccia Prada esibisce un taglio ad altezza spalle che riprende l’iconografia del lob anni ’60, ma incorniciato in un’onda che parte dall'attaccatura. La reference potrebbe essere quella di una Monica Vitti in Deserto Rosso, ma reinterpretata in chiave Miu Miu con un effetto bagnato arricchito da fermagli, accessori o un cerchietto in re-nylon.

Il caschetto di Rei Kawakubo 

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Quando Yohji Yamamoto si presentò per la prima volta all'hairstylist Julien d'Ys a Parigi negli anni '80, era quasi identica a come appare adesso: abiti over neri, un’aura punk, un bob appena sopra le spalle e una frangia perfettamente allineata alle sopracciglia. Pur avendo ceduto ad un taglio asimmetrico nel 1983 e ad uno styling più ondulato nel corso degli anni ’90, il bob di Rei Kawakubo si attesta come la sua incofondile cifra stilistica. Il suo è sempre stato un manifesto poetico votato all’esaltazione della purezza dei volumi e delle geometrie, tanto che al suo hairstylist d’Ys era concesso stravolgere la texture dei capelli: per la collezione FW12 aveva proposto parrucche neon, mentre per la SS16 aveva sorpreso gli addetti ai lavori con le teste dei modelli avvolte in un nuvole di finti ricci infuocati.


I capelli lunghi di Rick Owens 

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«Breaking: i capelli di Rick Owens sono ricci e bianchi» titolava un articolo comparso su The Cut nel 2017. Nello stesso anno, infatti, T-Mag pubblicava un video documentario sulla routine del designer goth statunitense ripreso nella sua casa a Parigi: oltre ad applicare una tinta scura sulle sopracciglia con lo spazzolino da denti, Rick Owens beve il caffè espresso e scrolla le mail mentre tiene in posa la tintura nera sulla sua ricrescita. Non solo: Owens, che di natura è riccio, si sottopone a sedute di trattamenti liscianti chimici in un salone londinese. L'hairstylist e collaboratore di lunga data Duffy racconta che nelle collezioni del designer non c’è minimamente traccia di ciò che è comunemente «carino, bello o perfetto. C’è il decostruito, il distrutto, l’effetto homemade e improvvisato.» Dei trend, a Owens, interessa ben poco.

Il rasato estremo di Demna

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Nel 2018, Demna dichiarava al The Guardian che l’eleganza non è un qualcosa di rilevante nella sua visione creativa. Il suo buzzcut estremo non poteva che testimoniare l’urgenza di chi prende sul serio la moda e ne fa uno spettacolo teatrale in bilico tra la potenza catartica della tragedia e la verve dissacrante della commedia. La silhouette del direttore creativo di Balenciaga, così come il suo taglio di capelli, è una sorta di grado zero della moda: niente fronzoli, poco tempo, massima resa.