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10 Year Challenge: i brand a distanza di un decennio

Com’è cambiata l’estetica di cinque brand iconici

10 Year Challenge: i brand a distanza di un decennio Com’è cambiata l’estetica di cinque brand iconici

Dieci anni sono molti in una vita. Nella moda, corrispondo a un’era geologica. Tanto più che di questi tempi i direttori creativi arrivano e vanno via con la rapidità del vento. Ma è anche la moda che, come specchio dei propri tempi, cambia radicalmente, influenzata dai tira-e-molla del mercato, dalle maree dei trend culturali e, come sempre, dal freddo, concreto denaro. E ora che su TikTok la virale 10 Year Challenge sta portando le audience di tutto il mondo (celebrità incluse) a riguardare indietro verso i dieci anni fa, anche noi abbiamo voluto provare a farlo con alcuni dei brand che più sono cambiati nel corso dell’ultimo decennio. In generale, si nota come oggi la moda si rivolga maggiormente alla vita quotidiana mentre dieci anni fa in passerella si vedevano più abiti se non formali, comunque pensati per un'occasione. Il daywear sarebbe entrato in passerella qualche anno dopo, almeno nella forma in cui lo conosciamo. Dieci anni fa, poi, le singole caratteristiche identitarie dei vari brand si esprimevano attraverso dettagli più minuti e sottili piazzati in silhouette molto classiche; in questi anni invece le particolarità e differenze dei brand devono essere più esplicite, più visibili e se vogliamo immediate. 

Per il nostro confronto, essendo il criterio dei dieci anni fondamentale, abbiamo dunque raffrontato le più recenti sfilate di ciascun brand nel 2023 con i loro corrispettivi stagionali di esattamente dieci anni fa. Le stagioni che considereremo, dunque, sono la scorsa SS24 e la SS14 di ognun dei brand presi in esame accorpando, per completezza e a seconda dei casi, anche le collezioni co-ed che hanno sfilato separatamente.

Burberry

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Partiamo dalla notizia forse più scioccante: dieci anni fa Burberry sfilava a Milano. Per lo show maschile della SS14, però, Christopher Bailey tornò a Londra e, nello specifico, a Hyde Park mentre per la medesima stagione, lo show femminile si sarebbe tenuto a Nottingham. Nel 2014 la stella di Bailey si stava già affievolendo (il picco più alto del brand era avvenuto tra 2007 e 2011) ma la collezioni di quella stagione erano tutte giovanile freschezza e colori pastello. Bailey è un tipo semplice: a distanza di un decennio i suoi look non hanno niente di complicato ma sono supremamente portabili, sono familiari, molto bon ton, sempre allegri o esuberanti. A distanza di dieci anni, il brand è notevolmente più serioso, il tono sostenutissimo: sono spariti gli spiritosi giovani dandy in giacca e cravatta, sostituiti da volti seri, corpi atletici e silhouette strutturate e monumentali, le linee sono più severe e aerodinamiche, i colori più densi e scuri, gli uomini e le donne in passerella sono belli ma i loro visi duri, inavvicinabili.

Balenciaga

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Tra Demna e Alexander Wang passa un abisso. In comune, tra le due collezioni distanziate da un decennio, c’è solo una certa attenzione per i volumi che debordano e colano come magma nel caso del primo, o trasformano in strutture più piene i micro-abitini da cocktail del secondo. L’immaginario è del tutto diverso: da una rilettura grottesca dello stile parigino classico in tutte le sue molte contraddizioni ad abiti dalla struttura più elaborata ma anche più sottile, meno tesi a sorprendere ma anche più leziosi e convenzionali. Notiamo qui (e rimarrà vero per i prossimi tre show che elencheremo) che pare assente il daywear: la collezione di Wang è per occasioni sociali, formali o comunque eleganti; quella di Demna è pensata per essere indossata ogni giorno e in quasi ogni occasione. Altra fondamentale differenza: la maniera in cui percepiamo gli abiti di Demna oggi è filtrata da un’ironia figlia dei social, la collezione di Wang è più seria e schietta, non si presenta con un concept ma solo come abbigliamento – cosa che, in retrospettiva, rende l’esecuzione più apprezzabile ma i risultati meno chiaramente identificabili.

Gucci

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La differenza non potrebbe essere più stridente. E anche se si potrebbe arguire che De Sarno è il designer che ha scoperto più centimetri di pelle, le sue ragazze acqua e sapone non hanno niente della pura, inadulterata aggressività sessuale delle pantere di Frida Giannini. Anche tra queste due collezioni il discrimine è il daywear: De Sarno fa indossare alle sue donne jeans, sneaker, gonne e giacche; per Giannini esisteva solo la notte, i suoi club, le sue cene. E anche se alcune similarità sussistono, è impossibile negare che il brand abbia compiuto un fortissimo testacoda in dieci anni: dal jet-set alla vita quotidiana, dall’eccesso quasi decadente dei rossi e dei viola, delle superfici luccicanti, dei drappeggi che svelano; alla sobrietà quieta e quasi sentimentale del nuovo Gucci.

Bottega Veneta

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Nel caso di Bottega Veneta (e di Marni, come vedremo a breve) si può leggere in filigrana il caso più generale della sensazionalizzazione della moda. Tomas Maier e Matthieu Blazy rappresentano l’apollineo e il dionisiaco: il primo è di un’eleganza iper-classica, opulento nei suoi materiali ma convenzionale nelle costruzioni, è fin troppo facilmente riconoscibile e identificabile; Blazy invece è esuberanza pura, un rigoglio di texture, dettagli strutturali, bottoni, strati, drappeggi. La differenza è assai marcata nel menswear: con buona pace del maestro Maier, i suoi uomini sono di uno scialbore raro, tutti vestiti dello stesso stretto completo grigio a cui si prova di dare un po’ di originalità con un mix-and-match di gusto assai dubbio. Lo stesso valga anche per le donne, i cui look però sono forse più portabili nel caso di Maier ma catturano assai meno l’immaginazione.

Marni

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Con queste due collezioni si vede benissimo il cambio di marcia di Marni, passato dall’eccentricità all’anarchia col cambio di direttori creativi. Per Consuelo Castiglioni, la donna Marni era ricca, colta ed eccentrica, i dettagli erano kitsch ma estremamente ponderati, vagamente agè ma calati in costruzioni iper-moderne; per Francesco Risso, la donna Marni è sicuramente meno alto-borghese, ugualmente elegante ma ferocemente anti-convenzionale. Se nella collezione di dieci anni fa l’eccentricità era sottile (abiti simili a kimono e sarong, accoppiati a infradito, stampe floreali dal sapore vintage, i cuoi traforati), in quella attuale tutti gli abiti sono più quotidiani  e riconoscibili ma sono decisamente sovversivi, con proporzioni e colori che esplodono, orli vivi, materiali insoliti come il camoscio per le lunghe gonne, dettagli groovy molto anni ’70 mescolati a una sartoria assai più esuberante.