La politica del punto vita
La vita alta sta già tornando?
31 Ottobre 2023
Nella moda è già stato fatto tutto. Maniche a pipistrello, a campana, tank top e orli a lattuga, boot cut jeans e skinny, trench coat e mantelle per la pioggia. Un discorso che si ripete durante ogni Fashion Week, l’unico modo per i designer di portare in passerella qualcosa di nuovo è sperimentare con silhouette passate tramite l’utilizzo di tecnologie moderne. Per la SS24, Miu Miu ha preso ispirazione dalle uniformi collegiali, Saint Laurent dal completo Safari del 1967 e JW Anderson dall’infanzia del suo direttore creativo. La novità di queste collezioni non stava negli abiti stessi, bensì nel modo in cui sono stati rivisitati. Allo stesso tempo, a soli due anni dal ritorno inaspettato dei low rise jeans, Prada, Loewe, Rick Owens e Dries Van Noten hanno portato sotto i riflettori pantaloni a vita alta-altissima. Un trend che ultimamente per le strade della città della moda è stato adocchiato su pochi, ma che secondo i designer di punta di Parigi vale la pena provare, i pantaloni a vita alta rispecchiano la crisi economica del lusso con un tempismo perfetto. Cosa c’entra, esattamente, l’altezza del punto vita con lo stato della società contemporanea? Come hanno fatto i designer delle ultime sfilate, facciamo un salto indietro nel tempo.
Il significato culturale dei pantaloni a vita alta
I pantaloni a vita alta che abbiamo visto in passerella da Prada e Loewe questa stagione riprendono le silhouette sartoriali delle Zoot Suit anni 40, per la loro natura quasi comica, e delle donne che lavoravano durante la Seconda Guerra Mondiale. Una forma che si adatta ad ogni corpo perché scolpisce la parte più stretta del punto vita, in quegli anni rappresentava uno stile utile a riconoscere la propria community, nel caso dei primi, e un indumento funzionale nel caso delle seconde. Sebbene questa linea abbia cominciato a diventare un trend negli anni ‘50, quando Greta Garbo, Audrey Hepburn e Marilyn Monroe l’hanno sdoganata sul silver screen, e poi di nuovo negli ‘80 con l’arrivo della power suit di Saint Laurent e dei jeans da bombshell della Guess, ha sempre conservato un sentito fortemente modesto e austero.
Opposti per natura ai low rise, che hanno debuttato nella moda negli anni '90 grazie all'estro creativo di Alexander McQueen, i pantaloni a vita alta non nascono per favoreggiare il corpo di chi li indossa. Mentre nella collezione Taxi Driver di McQueen, in cui si vedono per la prima volta i Bumster Jeans, la motivazione principale del designer era quello di « allungare il corpo » come spiega lui stesso in un'intervista al Guardian del 1996, i pantaloni a vita alta sono nati per i lavoratori. Avendo l’età di Marlene Dietrich e dei Pachuco, malgrado siano stati reinterpretati nel corso dei vari decenni a seconda dei designer e delle personalità che li hanno indossati, dagli innovativi Azzedine Alaia e Madonna ai più conservatori Giorgio Armani e Lady Diana, questi pantaloni non sono mai davvero riusciti a scaricarsi della loro eredità. Comparsi negli armadi delle donne durante un periodo particolarmente drammatico per la società contemporanea, il bagaglio culturale che hanno alle loro spalle risulta ancora ingombrante, nonostante quel vago sentore di quiet luxury che oggi fa acquolina a tutte le it girl.
I pantaloni a vita alta stanno davvero per tornare?
A parte Miuccia Prada, Raf Simons e Anthony Vaccarello, che si sono ridotti ad imitare completi gessati da ufficio e tute kaki safari-chic, c’è da dire che i designer che hanno portato i pantaloni a vita alta in passerella per la SS24 si sono sbizzarriti. Primo tra tutti Rick Owens per la linea menswear, che con pelletteria nera e avvolgente ha creato forme sensuali, a metà tra le galoshes e i corsetti a formare quello che poteva sembrare il busto di un centauro. Presentato in un contesto apocalittico, lo show di Owens denunciava la società contemporanea, la sua voglia di ballare e le sue paure per il futuro. «Maybe it’s just to celebrate while we can. Is that what people are feeling?» ha dichiarato il designer a Vogue. Anche i pantaloni a vita alta presentati da Loewe per la SS24 Womenswear avevano un look ambiguo, sebbene radicati nell’estetica dell’infanzia del direttore creativo Jonathan Anderson. Alzati fino a sotto il seno fino a diventare strani, i pantaloni sartoriali di Loewe apparivano leggermente inquietanti per il modo in cui univano tradizione e ironia. «Mettere la giocosità nel pragmatismo / E il pragmatismo nella giocosità» recitava il comunicato stampa della collezione.
Nel 2023, l’abito non fa più il monaco. Così come l’estetica degli artisti rap, negli anni ‘90 fortemente legata al mondo della criminalità di strada, sta cambiando, forse anche per i pantaloni a vita alta è arrivato il momento di esplorare nuove estetiche. Per capire se riusciranno effettivamente a liberarsi del contesto storico e socio-culturale demodé che rivestono servirà aspettare che i pantaloni di Loewe, di Rick Owens e di Dries Van Noten tocchino i fianchi delle it girl e degli it boy in egual misura. Ciò che è certo, per adesso, è che un possibile ritorno alla ribalta dei pantaloni a vita alta va di pari passo con un’economia instabile, la risposta da parte dei designer alla necessità di tirare il freno a mano sul loro estro creativo. Mentre Prada e Saint Laurent hanno risposto con le buone, domando le proprie silhouette e costringendole a riferimenti passati tra l’ufficio e il safari-chic, Loewe e Rick Owens hanno preferito fare a modo loro, mantenendo lo spirito di fantasia che li ha contraddistinti negli anni. Proporzioni comiche o meno, questo inverno la moda aveva bisogno di tirarsi su le braghe.