Come hanno fatto gli attivisti PETA a finire in passerella?
Tacchi a spillo e perfette doti di attore
19 Ottobre 2023
Dell’ultimo Fashion Month ricordiamo soprattutto i meme, le soundtrack e gli attivisti PETA. Nel giro di quattro settimane, l'organizzazione per i diritti degli animali è riuscita a far sentire la propria voce agli show di quattro brand di lusso, quali Burberry a Londra, Coach a New York, Gucci a Milano e Hermès a Parigi. Sfoggiando cartelloni di protesta contro la produzione di pelletteria e di piumini da parte dei brand, le attiviste hanno interrotto le sfilate con la stessa grazia e con gli stessi tacchi vertiginosi delle modelle scelte dai designer. Stupiti, i fan del fashion system hanno commentato online il look accattivante delle giovani agitatrici, ma in pochi si sono chiesti come siano effettivamente riuscite ad entrare backstage. Ottenere un credito d’accesso per una sfilata ambita come quella di Gucci o di Hermès è difficile per gli studenti di moda, figuriamoci per uno che vorrebbe che i brand chiudessero i battenti. Sappiamo che esiste un mercato nero di inviti per i fashion show, ma mai avremmo pensato che per PETA fosse così facile.
La lotta di PETA contro Hermès - in particolare la scelta della maison di continuare ad usare pelli esotiche - dura da anni, e pur di fermarli la no-profit in passato ha persino acquisito share nell’azienda francese. In un’intervista con il New York Times, Rachna Shah, managing director di una compagnia che si occupa degli accrediti alle sfilate durante la Fashion Week, ha ammesso le proprie colpe. «Penso che tutti avessero abbassato un po’ la guardia.» Effettivamente, l’ultima volta che PETA si era riuscita ad infiltrare ad una sfilata della stessa portata di quella di Hermés era nel 2021, quando Louis Vuitton aveva presentato al Louvre. Se agli inizi della lotta contro le pellicce animali l'organizzazione utilizzava grafiche pubblicitarie esplicite, adesso la loro arma preferita sembra essere diventata lo show-crashing.
@runnways SLAY! PETA protesters at the #Coach #SS24 original sound - ginosaudios
Secondo quanto riportato dal New York Times, sembra che le attiviste che si sono imbucate backstage abbiano preso spunto l’una dall’altra, da New York a Parigi. Una di loro ha dichiarato di aver ricevuto un suggerimento da parte della ragazza che ha protestato da Coach - «fai finta di essere felice di stare lì» - mentre un’altra, per fare il sopralluogo della Garde Républicaine, dove avrebbe presentato Hermés, ha preso in mano una tazza di caffè per sembrare più a suo agio. Per intrufolarsi tra la filming crew e documentare l’imbucata, una di loro ha ricevuto un braccialetto dallo staff del backstage. Aggirando la security - che spesso ottiene una lista dei nomi facenti parte di organizzazioni come PETA prima dell’evento - e compiendo l’atto preferito dell’entourage moda, il “mingling”, le attiviste si sono calate nella parte di modella, di fotografo, di giornalista e di buyer, arrivando al front row e alla passerella come se niente fosse, in attesa del momento giusto per agire.
nss ha parlato con Sascha Camilli, la Senior PR Coordinator di PETA che si è infiltrata alla sfilata di Gucci in un vestito nero, la quale ha dichiarato:
« Senza azioni coraggiose, l'estrema crudeltà verso gli animali, come il bastonamento dei coccodrilli per le borse e lo smembramento di mucche per le scarpe, verrebbe ignorata. Le interruzioni delle sfilate di moda di PETA hanno cercato di scuotere designer e consumatori dalla loro ignoranza riguardo alla crudeltà che stanno sostenendo, forse inconsapevolmente, in modo da aprire gli occhi e innescare discussioni, dibattiti e domande sullo status quo - e, naturalmente, ispirare compassione e cambiamento. Queste azioni provocatorie funzionano! In seguito alle campagne delle entità PETA, praticamente tutti i designer di fascia alta hanno denunciato pubblicamente la pelliccia. Altri materiali rubati agli animali come pelle e lana presto faranno la stessa fine.»
Durante il loro show-crashing, il tempo che le rappresentanti PETA hanno a disposizione per esternare il loro messaggio di protesta è poco, per questo devono trarne il massimo vantaggio. Cartelloni, vestiti impressionanti, pittura e urla servono sempre. Dopo essere state fisicamente rimosse dalla security, hanno spiegato le attiviste, si sono ritrovate a volte a dover rilasciare interviste alla polizia, a volte semplicemente per strada, a parlare con le colleghe di come è andata di fronte ad un caffè. Vista la forte risposta guadagnata dai post che ritraevano le attiviste in passerella durante l’ultimo Fashion Month, è probabile che presto rivedremo il loro passo felpato e i loro cartelli di protesta sfilare di fronte ad Anna Wintour. Ciò che ci insegnano le loro imbucate, in fondo, è che nel fashion system continua a prevalere la legge del miglior attore - «fake it ’til you make it.»