Come si diventa rivenditori di moda d’archivio?
L’abbiamo chiesto a tre fashion sourcer di successo
28 Agosto 2023
Il mercato mondiale del vintage continua imperterrito la sua scalata al fatturato record. Secondo le stime riportate dall’ultima analisi di ThreadUp, si prevede che il mercato globale del secondhand raggiungerà il valore di $351 miliardi entro il 2027, crescendo ad un ritmo di tre volte maggiore rispetto al settore dell’abbigliamento generico. Questo sviluppo esponenziale che si è verificato nel mercato del vintage negli ultimi anni ha creato diverse opportunità di business per gli imprenditori di nicchia, costruendo nel tempo un folto albero genealogico della moda di seconda mano che, partendo dai più basici thrift shop americani, oggi arriva a nuove, elegantissime boutique dell’high street, empori di articoli vintage dal valore esclusivo e che vantano pezzi da collezione. Mentre i più classici negozi di seconda mano sono soliti accumulare capi usati senza grande attenzione per le marche o la qualità dei pezzi, un ramo di questo settore è interamente dedicato ad una più attenta ricerca di capi vintage firmati, un compito che nel mondo della moda d’archivio viene denominato fashion sourcing. Negli Stati Uniti, l’imprenditrice Gab Weller ha avviato un vero e proprio business lavorando al fianco di celebrity come le sorelle Kardashian, Sofia Richie Grange e Chiara Ferragni per intercettare accessori e calzature vintage introvabili e recapitarli ai suoi clienti nel minor tempo possibile. Anche in Italia esistono i fashion sourcer, un gruppo di appassionati che collezionano e rivendono capi vintage e di seconda mano firmati da designer che hanno fatto la storia della moda, dalle collezioni più rare di Martin Margiela a quelle più celebri di Miuccia Prada. Di fronte alla marea di tesori che riescono a scoprire, è difficile non domandarsi quale segreto si celi dietro il talento di questi piccoli imprenditori, e soprattutto come fanno a resistere alla tentazione di tenere tutto il bottino per sé.
«Diciamo che non sono una sentimentale,» spiega Alessia Algani, fondatrice di Shop The Story. «Mi piace far andare in giro le cose belle e per me è super importante la questione del riciclo, del non comprare a vanvera.» Il successo della boutique di Algani, specializzata in capi della fine anni ’80 o inizi anni ’90 disegnati da stilisti di fama mondiale come Rei Kawakubo, Issey Miyake, Jean Paul Gaultier e Alexander McQueen, è dovuto a questa sua dedizione per il periodo storico che lei chiama post-ultra-sexy, una qualità che ha portato Shop The Story a diventare ben presto una delle mete preferite degli amanti del vintage a Milano. «Io studio un sacco,» spiega Algani in merito al suo metodo di ricerca, «tutti i capi che vendo sono corredati dalla foto della sfilata. È una cosa che serve molto agli uffici stile e anche agli altri clienti è una cosa che piace tantissimo.» All’attenzione unica che Algani ripone nella scelta dei brand d’archivio per Shop The Story si aggiunge poi un’ammirevole relazione con i clienti e i fornitori- i cui nomi, spiega Algani, non possono essere rivelati. «Compro un po' dappertutto, privati, aste, clienti,» ma qui si ferma. «Ci sono dei clienti che cercano delle cose specifiche, e infatti quando le trovo non vanno in negozio o online, le do direttamente a loro.»
Nonostante avere buoni contatti sia un requisito fondamentale per essere dei bravi fashion sourcer, affinare il proprio occhio per i capi più rari richiede tempo e passione. Per Roberta Vitelli, fondatrice di Catalogo Studio, lavorare con i fornitori giusti è un vantaggio notevole anche se, come spiega lei stessa, «essere dei segugi aiuta molto, più volte mi è capitato di trovare pezzi iconici in situazioni del tutto casuali.» Così come una parte di questa nicchia si affida a rivenditori specializzati in articoli vintage, c’è anche chi preferisce farne a meno. Elisa Battani, che nel 2020 ha aperto Armada Archive, vende esclusivamente abbigliamento consegnato da privati che le piombano in negozio decisi a lasciarle alcuni capi firmati che non mettono più. «Non utilizzo fornitori al momento,» spiega Battani. «Non ho mai trovato nessuno che soddisfasse le mie esigenze e che avesse capi che corrispondessero ai miei gusti, mi sembra che tolga proprio la parte più bella ossia la ricerca. A volte capita semplicemente che arrivi qualcuno e mi dica di avere capi che non mette più nell’armadio, come ad esempio Romeo Gigli, o YSL Rive Gauche, e la cosa interessante sono le storie che mi raccontano.» Che si voglia o no, è sempre la relazione con il cliente quella che aiuta una boutique di moda d’archivio ad affermarsi nel settore, persino nel processo che precede l’acquisto. Chiacchierando con Algani, Vitelli, e Battani si capisce subito che, sebbene le loro boutique siano ben diverse tra loro in genere, stile, e persino metodo di approvvigionamento, alla base di ognuna delle loro piccole aziende si trova ben radicata una passione sconfinata per la moda e la sua storia, la forza motrice che le accomuna e le stimola ad approfondire le proprie conoscenze, aiutandole infine a migliorare le loro - già ben spiccate - abilità da sourcer di moda d’archivio. «Chi mi conosce sa che ne sono completamente ossessionata,» spiega Vitelli. «Il mio gioco preferito da piccola consisteva nel riconoscere le collezioni senza leggere i nomi dei brand.»
Per Vitelli, le conoscenze della storia della moda sono state un punto di partenza vantaggioso, ma sarebbero state inutili se la giovane sourcer non avesse saputo sviluppare anche una certa sensibilità per il retail contemporaneo. «Sono ormai lontani i tempi dei Levi’s 501,» ci spiega in merito ai recenti sviluppi dei trend che ha notato vendere per la maggiore, «oggi non si basano sul singolo prodotto o su un brand, ma sul concetto di estetica. L’estetica Y2K ne è un esempio lampante: negli ultimi due anni l’abbiamo apprezzata in sfilata, cercata sotto forma di hashtag su Vinted e poi sdegnata sugli stand dei fast fashion.» Il recente boom della moda vintage, ci racconta la fondatrice di Catalogo Studio, ha influito pesantemente sui costi dei capi, secondo Vitelli aumentati almeno del 20% nell’ultimo anno. Data la selezione curata che effettuano i sourcer, i prezzi che si trovano nelle loro boutique sono più alti rispetto ai negozi vintage più generici. «Io non prendo mai i pezzi rovinati,» spiega Algani mentre ci racconta come prezza gli articoli di Shop The Story. «Se li prendo è perché so che li posso far riparare in maniera corretta, tranne in casi rarissimi di pezzi incredibili - la condizione è una cosa, la rarità è un’altra.» La ricerca quasi scientifica che effettua Algani per Shop The Story, racconta la sourcer, l'ha portata diverse volte anche a confrontarsi con fondazioni ed istituzioni museali. Perché alla fine la moda d’archivio è un po’ come l’arte. «Il valore della mia ricerca è proprio questo,» conferma Algani. «Scoprire delle cose che un'altra persona non riuscirebbe a trovare.»
I negozi di queste esperte sourcer saranno anche ricchi di fiocchi e lustrini, ma i consigli che riservano per chi desidera aprire una botique di vintage curato al pari della loro sono senza fronzoli. «Viviamo in un mondo spesso troppo superficiale e la moda è vittima di questo pregiudizio,» dice Vitelli, «per fare questo lavoro bisogna essere onnivori, interessarsi a tutto ciò che succede nel mondo in campo politico, economico, sociale e ovviamente artistico, restando però sempre fedeli al proprio istinto.» Perché la passione è un’ottima guida, ma la fiducia nel proprio potere esecutivo e le proprie conoscenze imprenditoriali sono quelle che ti portano lontano. «Se hai un taglio molto specifico come il mio è più facile trovare dei clienti fidelizzati,» spiega Algani, e poi aggiunge, chiudendo in bellezza, «e poi, come dice la signora Prada: studia, studia, guarda film, leggi libri. A me è capitato di fare degli affari pazzeschi solo perché avevo visto milioni di volte una manica. E allora lì studiare fa uscire gli occhi.»