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Far sfilare l’Haute Couture con le rivolte in strada

In una settimana di profonda crisi, la moda dovrebbe farsi da parte?

Far sfilare l’Haute Couture con le rivolte in strada In una settimana di profonda crisi, la moda dovrebbe farsi da parte?

Quando qualche settimana fa si era dato l’annuncio che sia Celine che Alaïa avevano organizzato il proprio show nello stesso giorno, ossia ieri, la notizia era stata accolta con l’ironico divertimento che di solito si riserva per i frivoli first world problems della moda. Ovviamente nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo due settimane dopo, a fashion week finita, dopo l’omicidio del 17enne Nahel per mano della polizia. Oggi la situazione, per chi segue l’evolversi delle vicende su Twitter o comunque attraverso i social, è a dir poco allarmante: palazzi e auto incendiate, auto scagliate contro la casa di un sindaco, scontri in strada, saccheggi – tutte immagini di una nazione in fiamme. E mentre politologi e cospirazionisti affollano il web con le loro interpretazioni e analisi, a Parigi una delle maggiori industrie nazionali del paese, la moda, non sa bene dove situarsi. Sacrificare ore di lavoro, meticolosa organizzazione e ingenti capitali in ossequio all'atmosfera generale o proseguire come se nulla fosse, nella sicurezza del centro città mentre a chilometri di distanza si levano colonne di fumo?

Ieri i due brand che avevano organizzato show concomitanti hanno scelto ciascuno una strada: Celine ha tempestivamente annunciato l’annullamento del proprio show, pubblicando anche un messaggio di Hedi Slimane in cui, molto in breve, si diceva che organizzare una sfilata in un momento simile è semplicemente fuori luogo e sbagliato; Alaïa invece ha deciso di proseguire come se nulla fosse, sfilando alla Passerelle Léopold-Sédar-Senghor mentre Patou ha organizzato il proprio show alla Salle Wagram nello stesso giorno. Oggi la stampa ha pubblicato recensioni di entrambi gli show, e la settimana dell’Haute Couture sembrerebbe dover proseguire senza interruzioni con lo show di Schiapparelli – ma quanto è possibile seguire la processione di questi abiti di lusso mentre, là fuori, le periferie si rivoltano? Lo sbalzo del termometro culturale non riguarda solo la moda, a quanto pare, ma la popolazione generale dato che diverse fonti locali affermano che i disordini e le rivolte si stiano concentrando nelle periferie lasciando le aree centrali della città abbastanza immutate. Fonti vicine al magazine parlano infatti di uno stato di allerta generale senza che però le rivolte siano effettivamente arrivate negli arrondissement centrali di Parigi. 

@cgtneurope

Riots spread across France overnight, set off by the deadly police shooting of a teenager of North African descent on Tuesday during a traffic stop in a Paris suburb.

original sound - CGTN Europe

È chiaro comunque che la relativa tranquillità dei quartieri centrali non può far dimenticare le più larghe questioni sociali e politiche che queste rivolte stanno mettendo sotto lo sguardo dell’opinione pubblica francese e mondiale. Per questo, il tempismo della Paris Couture Week pare essere quanto mai tragico – dopo tutto non si tratta certo più di una fiera di settore che può svolgersi separatamente dal resto, ma di un intero circo mediatico che porta in città dispendiosi eventi, celebrità e paparazzi oltre che i membri della clientela più assurdamente ricca del mondo della moda. Una rappresentazione perfetta della situazione potrebbe essere l’ormai celebre foto degli incendi di Eagle Creek scattata da Kristi McCluer nel 2017 in cui si vede un gruppo di americani giocare a golf mentre, sullo sfondo, l’intero versante di una montagna brucia – foto definita dal The Guardian una «metafora visiva dell’America oggi». Gli show dei prossimi giorni forniranno forse al pubblico un’altra e più attuale metafora visiva della nostra società? O quella metafora si trova già sotto gli occhi di tutti? Dopo tutto le vicende di questi giorni sembrano il seguito spirituale di quanto accaduto con le furiose rivolte del 2005, esplose a partire da un simile incidente e incendiatesi per le medesime (e apparenti) ragioni, ovvero il disagio sociale delle banlieue abbandonate dalle istituzioni. A distanza di quasi diciotto anni quei problemi paiono essersi spostati ma non modificati.

Nel frattempo, mentre scriviamo queste righe, si piange la morte di un vigile del fuoco 24enne, rimasto intrappolato in un parcheggio sotterraneo in fiamme a Saint-Denis, e alcune tra le più celebri star del mondo stanno facendo il proprio ingresso, ricoperte di piume, seta e oro, allo show di Schiapparelli. Se a inizio della Paris Fashion Week lo show di Pharrell aveva portato ad alcuni a parlare di una “bolla” della moda, gli eventi di questi giorni potrebbero in effetti confermare che ciò che separa la moda dal mondo esterno è assai più coriaceo di una fragile bolla – è una muraglia, uno strapiombo invalicabile che separa i paradisi artificiali del lusso da una società sempre più fragile, brutale e contraddittoria. Non male per un’industria che, quando si parla di attivismo performativo, in passato si è gloriata della propria capacità di raccontare i tempi, parlando di democrazia creativa, accessibilità, pluralità di voci. Non che la moda debba salvare il mondo, per quello c'è la politica, ma a a conti fatti è solo naturale che, ora che le voci che vengono dalla strada esprimono una rabbia sociale che non può essere trasformata in una capsule collection dal vibe progressista, il mondo della moda faccia i propri conti e si chiuda nei propri palazzi. A prescindere da come la situazione si evolverà, comunque, sembra di poter leggere negli eventi di questi giorni, la traiettoria che l’industria del lusso intraprenderà a partire dalle prossime stagioni: disinteressata alle cose del mondo, imperturbabile finché i propri profitti restano incolumi, rimossa e noncurante – forse, però, finalmente anche meno ipocrita. Dopotutto la moda è sempre stata una cosa da ricchi.