Come si misura il successo social di un brand?
E soprattutto, quanto influisce sulle vendite
20 Aprile 2023
Quando i brand hanno abbracciato i social media negli anni 2010, hanno iniziato a servirsi delle metriche più ovvie per misurare il successo di una determinata campagna: il volume di like, commenti, clic e follower senza neanche gli strumenti per distinguere se tali cifre fossero reali o fittizie. Ben presto si sono resi conto che i numeri non erano in grado di mostrare il reale ritorno di un post online e che non esiste un metodo standard per confrontare le diverse piattaforme, dal momento che un commento su Instagram non è equiparabile a un retweet. È qui che entrano in gioco le metriche di conversazione: TribeDynamics e Launchmetrics, Captiv8, GRIN e Lefty sono solo alcuni delle piattaforme che quotidianamento offrono i propri servizi ai marchi per quantificare il loro rendimento sui social, assegnando anche, con metodologie diverse tra loro, un valore monetario a un certo numero di impression online. Il problema? Non sempre giungono alle stesse conclusioni ed è difficile capire quale sia più attendibile.
Ad esempio la piattaforma di influencer marketing TribeDynamics utilizza l’Earned media value (EMV), un metodo per calcolare la rilevanza dei contenuti realizzati dai marchi attraverso le attività di marketing o PR, al di fuori delle inserzioni pubblicitarie e dei post dei brand stessi, si tratta del volume di contenuti generati spontaneamente dagli utenti (recensioni, comment, tag etc). La società di analisi dei dati sulla moda Launchmetrics si serve invece del Media Impact Value, MIV, ciò significa che quando Rihanna crea scalpore al Met Gala vestita come il Papa, Priscilla Ono (la makeup artist che ha realizzato questo look sorprendente) può confrontare l’impatto media su print, online e social, mentre i brand possono confrontare il buzz generato dalle celebrity che hanno indossato le loro creazioni rispetto a quello ottenuto dagli altri brand. Lefty ad esempio stima il numero di impressioni per ogni post e associa un valore di 100 dollari ogni mille visualizzazioni su Instagram, allo stesso tempo l'algoritmo di TribeDynamics tiene conto delle dimensioni del seguito di un creatore, del suo livello di engagement con il pubblico e della piattaforma su cui opera.
Le metriche sono spesso utilizzate per dimostrare il successo (o il declino) di un brand nei media, confrontando non solo il proprio rendimento con quello di altri marchi ma paragonando anche il proprio a performance passate. Ad esempio, per un marchio emergente, un MIV o un EMV pari a quello di un rivale più affermato è qualcosa di cui vantarsi, mentre un brand che organizza una sfilata di moda può confrontare la conversazione generata intorno all'evento di quell'anno con quella dell'anno precedenti e vedere quali creator hanno interagito. Ma ci sono dei limiti. Per cominciare, non è sempre chiaro come il valore in dollari di una lettura EMV si traduca in vendite reali: a novembre l'EMV di Balenciaga è stato di 41 milioni di dollari, superiore al totale di settembre e non lontano dal dato di ottobre, eppure lo scandalo delle campagne pubblicitarie del brand ha sì generato visibiltà social, ma si è anche tradotto in un drastico calo nelle vendite. Alcuni pensano addirittura che tali metriche stiano incoraggiando i marchi a perseguire iniziative sempre più stravaganti per assicurarsi che diventino virali sui social media, dalle teste impagliate di Schiparelli ai cani robot allo scorso show di Coperni. In più, questi servizi a volte giungono a conclusioni diverse sulle stesse campagne. Lefty ha rilevato che Celine è stato il marchio più performante su Instagram nei mesi di febbraio e marzo, secondo Tribe è stato invece Louis Vuitton. Una cosa tuttavia è certa, i media diventano sempre più ingombranti e cruciali nella vita dei brand.