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Le nuove regole europee anti greenwashing

Norme sempre più rigorose per i brand che dichiarano di rispettare l’ambiente

Le nuove regole europee anti greenwashing Norme sempre più rigorose per i brand che dichiarano di rispettare l’ambiente

Lo scorso mercoledì la Commissione Europea ha pubblicato una nuova bozza per introdurre un nuovo regolamento contro il greenwashing. Tra le proposte, l’imposizione di prove concrete da parte dei brand che sostengono di essere eco-sostenibili, e il rischio, per chi le omette, di una multa di almeno il 4% del fatturato dell'azienda. Nonostante le norme della bozza siano più rigorose delle precedenti, resta il dubbio che le decisioni giuridiche scelte dalla CE siano ancora troppo vaghe, non abbastanza ferree per gli attivisti ambientali, e non abbastanza chiare secondo i gruppi commerciali a cui ci si devono attenere. 

La forte crescita che in questi ultimi anni ha investito il mercato “verde,” ossia la vendita di prodotti a ridotto impatto ambientale, motiva sempre di più brand e case di moda a marketizzare i propri prodotti come consapevoli, rischiando però di dichiarare il falso. Alla luce dei frequenti fenomeni di “greenwashing,” questa settimana anche l’ONU è intervenuto sul tema, sottolineando i danni che un marketing male indirizzato può causare, per il clima come per la reputazione dei brand in causa, ed è per questo che gli sforzi dell’UE di contrastare il problema stanno ancora ricevendo reazioni negative. «Il rischio è che le cose diventino molto, molto confuse», ha spiegato a BoF George Harding-Rolls, responsabile della campagna del gruppo ambientalista Changing Markets Foundation, «assisteremo a un "silenzio verde". Vedremo molti marchi di moda e aziende di tutti i settori prendersi un po' di tempo per digerire la cosa e, in quel momento, probabilmente faranno molte meno dichiarazioni ecologiche». Secondo uno studio del 2020, oltre il 50% del regolamento anti-greenwashing europeo risulta disorientante

Le nuove leggi, adesso in via di approvazione, obbligherebbero i marchi a comprovare scientificamente qualsiasi dichiarazione inclusa nelle proprie pubblicità, e considerare quindi in modo più ampio il ciclo di vita dei propri prodotti. Verranno inoltre vietate le etichette “autocertificate,” saranno imposti maggiori controlli sulla veridicità dei benefici di materiali come il poliestere riciclato, e verranno messi in discussione termini come “carbon neutral" e “climate neautral.” Secondo alcuni osservatori, anche questa bozza necessita maggiore chiarezza. «Lascia molte regole aperte all'interpretazione e non garantisce alcuna certezza giuridica», ha detto Baptiste Carriere-Pradal, cofondatore e direttore della società di consulenza per gli affari pubblici 2B Policy e presidente del gruppo di difesa dell'industria della moda Policy Hub, «non riesce assolutamente a fornire la chiarezza che la gente voleva». Al momento, il nuovo documento delle norme anti-greenwashing deve ancora ottenere il supporto del Parlamento prima di essere messo in regola, un processo che potrebbe impiegare anni. E mentre molti rappresentati di brand e marchi sostengono che presto le aziende perderanno interesse a prestare attenzione alle cause ambientali, per alcuni attivisti questo non dovrebbe essere un problema. «Se c'è una cosa che emerge chiaramente è che la fondatezza, i dati primari e le informazioni che i marchi sono in grado di fornire sono tanto migliori», ha dichiarato Harding-Rolls. «E se non lo stanno già facendo, probabilmente stanno facendo greenwashing.»