Perché il colbacco è il vero trend di stagione
Dalla declinazione da gendarme glamour di Gucci al twist venatorio di Burberry
01 Marzo 2023
Tra yeti boots e faux fur le passerelle degli scorsi anni hanno accolto i capi in pelliccia a braccia aperte, complice quel revival y2k che da tre anni a questa parte porta la Gen Z a incorporare accessori pelosi nei propri look, tra cinture e copriorecchie. Ma le passerelle della FW23 hanno visto trionfare un nuovo protagonista irsuto, il copricapo storicamente associato all’esercito sovietico: il colbacco anche detto ušanka. Dalla declinazione da gendarme glamour di Gucci al focus sull'abbigliamento venatorio di Daniel Lee da Burberry, alle mostrine applique di Nigo da Kenzo, passando per Dsquared2, Casablanca, Patou: i brand hanno dato la propria interpretazione di un trend destinato a invadere le strade e i feed, sulla scia del successo del Muppet Hat che nel 2021, da Rihanna a Rosalia, aveva ornato il capo dell’olimpo delle celebrity.
Il cappello in pelliccia tipico dei paesi dell’est, così come lo conosciamo oggi, ha una storia abbastanza recente, ma il modello da cui deriva, è un vero è proprio indumento storico. Il tradizionale berretto russo realizzato in cuoio e pelliccia di pecora compare intorno al XX secolo, durante la guerra civile del 1918-1919 tra gli uomini dell’Armata Bianca. Negli anni ‘30 diventa un capo d’abbigliamento indispensabile nelle divise di alcuni reparti navali dell’Armata Rossa, mentre nei primi anni ’40 viene introdotto come parte integrante della divisa invernale per tutto l’esercito. Ma l'antenato dell'ushanka, il treukh (un nome che deriva dalle parole russe “три уха”, tri ukhà, ovvero “tre orecchie”), un berretto rotondo con tre paraorecchie di pelliccia che proteggevano orecchie, nuca e fronte, è sin dall’alba dei tempi un alleato indispensabile contro il clima rigido, in uso anche tra i cittadini comuni e caratteristico anche dei popoli armeni, turchi e afghani. Nonostante ciò, nell'immaginario collettivo l'ušanka resta quasi esclusivamente associato alla divisa dei soldati sovietici, all'Armata Rossa o al popolo russo, alla stregua di un simbolo nazionale. Ma nella moda il colbacco perde la sua valenza simbolica e utilitaria e diventa piuttosto emblema di stravaganza, specie quando i suoi volumi arrivano fino all’estremo.
La passione della moda per gli accessori oversize si è spesso espressa tramite il colbacco, sin dagli anni ‘80, quando l’opulenza old money delle pellicce (oggi faux) veniva declinata anche nei copricapi. I colbacchi vitaminici della FW16 di Moncler Grenoble, in pendant con gli yeti boots, fanno eco al tripudio di colori, dal baby pink al bianco ottico, della FW94 di Chanel. Con la FW19 di Prada, gli ushanka hanno raggiunto l’apice dell’utilitarismo, realizzati in nylon e rivestiti internamente in pelliccia per essere allo stesso tempo caldi e impermeabili, quelli di Miu Miu FW17 erano più tondeggianti che squadrati, una declinazione del muppet hat memore degli accessori eccentrici della FW13 di Marc Jacobs. La FW01 di Saint Laurent era un omaggio al colbacco nella sua declinazione più classica, mentre è della FW10 di Martin Margiela il merito di aver portato l’accessorio alle sue proporzioni più estreme con una patina funebre data da un velo nero che copriva il volto dei modelli. Eppure, il più grande appassionato di colbacchi resta John Galliano, l’enfant terrible della moda che ai tempi di Dior ha esplorato forme e colori dell'accessiorio, dalla FW02 alla FW04, sino alle piume mastodontiche della Haute Couture del 2002. Siete pronti a vedere la Gen Z con colbacco e jeans? Perché avverrà a brevissimo.