Come i designer hanno interpretato l’aria nella moda
Tutte le volte che le passerelle hanno preso spunto dagli elementi
20 Febbraio 2023
Secondo la cosmogonia, gli elementi fondamentali della Terra sono quattro: fuoco, aria, terra e acqua. Per gli antichi filosofi l’aria è l’emblema dell’equilibrio, la mediatrice dell’acqua e del fuoco, un elemento sinonimo di purezza di spirito e fervida immaginazione. Forse proprio per questi motivi è stato facile per il mondo della moda tradurre in abiti l’elemento, ispirandosi al flusso elegante del vento e alla leggerezza delle nuvole, a volte per il design di accessori, a volte per il concept di intere collezioni.
Tralasciando le infinite volte in cui gli stilisti hanno scelto il tulle per confezionare volant principeschi, o le silhouette ariose che hanno reso stilisti come Issey Miyake e Iris Van Herpen vertici indiscussi della moda antigravitazionale, riscopriamo insieme i casi più famosi in cui l’aria è diventata protagonista durante le fashion week passate, dalle grafiche iper realistiche di Virgil Abloh al vestito-aeroplano “Remote Control” di Hussein Chalayan.
Gommoni e gonfiabili, la moda inflatable
Vi risparmieremo le battute inflazione-economica/moda-rigonfia, ma è sulla bocca di tutti: ai designer piacciono i palloncini. Sarà che la pandemia ha fatto venire a tutti una grande nostalgia della propria infanzia, sarà che fare indossare a Sam Smith una tuta nera tutta tonda fa molto ridere, ma sembra proprio che il nuovo trend di abiti e accessori “gonfi” sia sulla cresta dell’onda, come un materassino perduto in alto mare. L’imminente rovina economica che ci ha dato il benvenuto questo 2023 si è manifestata nel mondo della moda prima con la sparizione dei gioielli dai red carpet, poi con questa mania per il palloni gonfiati, letteralmente. Prima della tuta di Sam Smith disegnata da Harri, ci sono state in ordine di apparizione anacronistica: i mocassini e le borse "soft" di Prada - collezione battezzata da TikTok “Puff-ification of Prada” - e Jacquemus, il bomber Loewe amatissimo dalle it-girl Kendall Jenner e Taylor Russel, e la collezione SS2023 del re dell’umorismo multicolore Jeremy Scott, che non tarda mai a salire sul carro della moda auto-ironica. «Ho preso l'inflazione e l'ho messa nella collezione,» ha detto il designer nel backstage della passerella. Non si sa esattamente chi sia stato il primo stilista a "gonfiare" questa tendenza, anche se qualcuno ha provato a puntare il dito contro l’ultra-discussa collezione che il designer Fredrik Tjærandsen ha esposto nel 2019 come tesi di laurea all’università londinese Central Saint Martins.
Cieli azzurri e iper realismo nebuloso
Come nel caso del fuoco, anche l’immaginario dell’aria è riuscito a fare apparizioni grafiche ed iper realistiche in passerella. Nuvole e cieli azzurri hanno riempito i tessuti e la pelletteria di Louis Vuitton nel 2020, quando il quarto show ideato da Virgil Abloh ha preso forma durante la settimana della moda parigina invernale. Oltre al setting, interamente tappezzato da carta figurante un cielo soleggiato, quasi ogni articolo di questa collezione proponeva la grafica nebulosa, la stessa con cui anni prima anche Jonathan Anderson e Bill Gaytten hanno sperimentato, rispettivamente nel 2017 per Loewe e nel 2013 per John Galliano, e che l’anno scorso Sarah Burton ha ripreso per alcuni abiti della linea SS22 di Alexander McQueen, per lei simbolo di libertà e sregolatezza. «Rinunciare al controllo ed essere direttamente in contatto con l'imprevedibile significa essere parte della natura,» ha spiegato Burton, «vederla e sentirla al massimo della sua intensità, essere un tutt'uno con un mondo più grande e più potente di noi.»
McQueen e Chalayan, tecnologie a confronto
Poche volte si riesce ad evitare di nominare il mito di Alexander McQueen quando si parla di fashion show dal concetto ricercato. Nonostante il designer inglese abbia molto spesso scelto il fuoco e il colore rosso nelle sue collezioni, come le collezioni “Joan" e “Highland Rape” e i numerosi omaggi alle propri radici scozzesi, tra le sue sfilate più famose - che poi sono tutte - spicca sicuramente “The Widows of Culloden”. Messa in scena nel marzo del 2006, la collezione ha debuttato a Parigi, su una passerella in legno affiancata da una piramide in vetro molto simile a quella del Louvre. Il rumore del vento era inserito nella colonna sonora dello show a suggerire cieli freddi, mentre le modelle sfilavano indossando le creazioni alate del cappellaio irlandese Philip Treacy, un omaggio alla storica musa del designer Isabella Blow e un chiaro riferimento alla passione che McQueen ha sempre nutrito per l’uso di animali a scopo simbolico. Nonostante l’indimenticabile raffinatezza della collezione, il momento culmine di questa collezione è stato l’arrivo di Kate Moss, che ha fluttuato nell’aria attraverso un ologramma avvolta in volant di organza bianchi. È stato un momento memorabile, non tanto per l’utilizzo di questa tecnologia avanzata, ma più per la scelta di ingaggiare Kate Moss, una top model che pochi mesi prima aveva perso molteplici contratti con stilisti affermati dopo essere stata al centro di un grande scandalo, fotografata da media inglesi mentre faceva uso di cocaina ad una festa. Con un’immagine suggestiva che ha lasciato il pubblico a bocca aperta, McQueen ha reso Moss una visione fluttuante onirica, ristabilendo la sua reputazione di grande icona.
Un altro grande ingegno nato da un’ispirazione “alata” è stato utilizzato anche dal designer cipriota Hussein Chalayan per la sua collezione Fall Echoform del 1999, uno stilista che, come McQueen, è rimasto nella storia per i suoi show di alta produzione che intrecciavano la moda con la performance artistica. Presentata su una pista go-kart completamente bianca, la collezione è stata aperta da un look futuristico strabiliante: un abito in fibra di vetro lucida assemblato con lo stesso look di una fusoliera di un aeroplano che, quando la modella Audrey Marney ha raggiunto l’apice della pista, ha cominciato a muoversi, alzando alcuni dei suoi segmenti imitando il movimento pre-decollo delle ali di un aereo. Il concetto dietro a questa ideazione, che si basa sulla relazione intricata che il designer ha avuto con il mondo dell’aviazione e della migrazione, è stato ripreso da Chalayan anche con l’Airmail Dress, un vestito in un tessuto simile alla carta chiamato Tyvek che può essere piegato ed inviato, come una lettera che «può diventare un simbolo di assenza o presenza.»