Uscendo dall’ombra di Virgil Abloh
Louis Vuitton si trova a un bivio tra un confortevole passato e un futuro pieno di rischi
20 Gennaio 2023
Lo show FW23 di Louis Vuitton di ieri è stato un evento molto particolare. Da un lato, leggendolo come spettacolo puro, ha rappresentato un’uscita meno faraonica delle passate stagioni ma riuscitissima sotto il punto di vista creativo anche grazie al lavoro di Michel e Olivier Gondry e della perfetta curation musicale di Rosalìa; dall’altro lato, però, contestualizzandolo nella storia di Louis Vuitton, e considerato come sia stato Colm Dillane a partecipare ai lavori del design studio del brand, lo show sembrava ancora portare in tutto la firma di Virgil Abloh. Il che non sarebbe un problema se Virgil Abloh non fosse scomparso ormai da più di un anno. La chiamata di Colm Dillane come guest designer della collezione del brand è parsa inizialmente come un tentativo di portare avanti la narrativa di Louis Vuitton preparando il terreno a una svolta creativa di qualche tipo, magari facendo acclimatare il pubblico a un designer diverso da Abloh. La collezione, però, è rimasta ambigua sotto questo punto di vista: la presenza di Dillane è servita a far sì che il risultato non fosse una sterile ripetizione del passato, ma quello stesso risultato ha riconfermato quanto ancora il menswear del brand dipenda da un passato da cui non si riesce a distogliere lo sguardo. Gli occhi stampati sui cappotti, i cristalli, le stampe giocose, il richiamo all'infanzia, i flare dei pantaloni, il look fatto di fogli di carta, l'outerwear architettonico, i completi sartoriali completamente dipinti - sembrava tutto fatto come se Virgil fosse ancora vivo. La mano di Dillane non è parsa la mano di un altro designer, diverso ma affine all’illustre scomparso, ma quella di un devoto seguace che ha omaggiato Abloh.
Pur rimanendo lodevole da parte del brand aver mantenuto praticamente intatto il dipartimento creativo del precedente direttore artistico, incluso il set design, e pur rimanendo validissima la collezione presentata, la sensazione prevalente è quella che Louis Vuitton si trovi al momento in una comfort zone dalla quale esita a uscire, evitando di affrontare un tema tanto rischioso quanto inevitabile. Il fatto, però, è che a un certo punto dall’ombra di Virgil Abloh bisognerà uscire: e non tanto perché la creatività sia stantia, ma perché, stagione dopo stagione, diventa sempre più problematico che il brand non sembri voler accettare che il suo geniale direttore creativo non sia più tra noi, imitandone per così dire il linguaggio ma senza avere la sua voce.
Considerando la questione del punto di vista del brand le cose cambiano. Virgil Abloh ha infuso in Louis Vuitton una vitalità senza precedenti, ravvivando la fiamma del suo menswear e trasportando uno dei più grandi brand di lusso francesi del mondo verso una nuova epoca e un nuovo e giovanile mercato. In una qualche misura, e senza generalizzare troppo, l’impatto che Abloh ha avuto per Louis Vuitton sarà forse paragonato in futuro a quello che Lagerfeld ha avuto per Chanel e Fendi. È chiaro che cambiare bruscamente la rotta intrapresa dal brand, però, potrebbe cancellare tutti questi eccellenti risultati: un designer troppo incline allo streetwear potrebbe fare sfumare la credibilità del brand, finendo schiacciato nel raffronto svantaggioso tra se stesso e il proprio predecessore; uno troppo tradizionale e minimalista potrebbe invece alienarsi la clientela, mettendo scompiglio nella strategia del brand magari indebolendo le vendite di categorie merceologiche che adesso vanno ancora forti. Si tratta, insomma, di gestire le aspettative del pubblico, possibilmente anticipandole. Un valzer decisamente complesso per un brand globale la cui clientela è così vasta e trasversale.
Si potrebbe forse allora optare per la soluzione ipotizzata (senza convinzione) da alcuni che hanno ventilato l’idea di un brand privo di direttore creativo. Il che non è un male di per sè, ma per Louis Vuitton significherebbe rimanere imprigionato nel solco tracciato da Abloh per sempre e magari provarne a uscire in maniera sconclusionata o, peggio, seguendo gli oracoli di un algoritmo senz’anima. Proprio per questo un passo verso il futuro e fuori dall’ombra di Virgil si renderà necessario e decisivo in nel futuro prossimo.