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La sinistra ha un problema con il lusso?

La fallibilità degli abiti come dichiarazione politica

La sinistra ha un problema con il lusso? La fallibilità degli abiti come dichiarazione politica

Sembra che la stampa italiana sia impegnata in una campagna di propaganda. Il tema? La morigeratezza. Se all’estero Vanessa Friedman analizza i look del "presidente del consiglio alt right” Giorgia Meloni tra completi Armani, camicie inamidate e borse Bottega Veneta a completare il look, i riflettori nostrani sono puntati, per motivi diversi, sugli outfit e le abitudini d'acquisto della sinistra italiana. Da un lato c'è il caso della suocera e della moglie del deputato Aboubakar Soumahoro (Alleanza Verdi e Sinistra), sfociato non solo in un’indagine sulle presunte attività illecite della famiglia ma anche nella disamina di uno “stile di vita ostentato” alle spese delle Onlus, tra borse, valigie ed occhiali di lusso, hotel 5 stelle e marchi di alta moda. Dall'altro, Pier Luigi Bersani e la sua sorpresa di Natale alla moglie rovinata, dopo che le immagini dell'ex segretario del PD in un negozio di lusso romano sono apparse sulla prima pagina Libero: «Bersani da Vuitton. Poi va da La 7 a parlarci delle disuguaglianze», si legge in un tweet. Ma se nel primo caso la vicenda è di per sé poco chiara e merita un'indagine da parte degli enti competenti, nel secondo caso la contraddizione di quella sinistra anacronistica e sempre uguale a se stessa è emersa con forza. Le critiche non sono piovute solo da parte degli avversari e della stampa, ma anche da parte di personaggi come Laura Boldrini che, intervistata da Rai Radio 2, afferma che i soldi vanno spesi seguendo dei precetti morali e che, di conseguenza, tutto ciò che è superfluo per lei è raramente ammissibile. Una predica che in un altro periodo storico avrebbe anche avuto senso di esistere, ma che oggi evidenzia solamente quanto la visione e l'autorappresentazione della politica (e in particolare della sinistra) sia scollata dalla realtà e dal presente.

Un retaggio di quegli stereotipi che hanno caratterizzato rispettivamente la destra e la sinistra italiana per decenni - «Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po’ di destra, ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate è da scemi più che di sinistra, i blue-jeans che sono un segno di sinistra con la giacca vanno verso destra» cantava Giorgio Gaber. Fino agli anni ‘90 in effetti, prima che  i riflettori puntati sull’America rivoluzionassero il nostro modo di concepire i consumi, le scelte di abbigliamento delle parti politiche divergono nettamente. Oggi, difficilmente potremmo intuire le intenzioni di voto della Gen Z - ammesso che votino – dal modo in cui sono vestiti, ma «vent’anni fa sarebbe stato chiaro, quaranta o cinquant’anni fa addirittura lapalissiano. Alla fine degli Anni 60, e per tutti gli Anni 70, un abito era una dichiarazione politica, un accessorio era un’indicazione di appartenenza, il taglio (o il non-taglio) di capelli una presa di posizione» scrive Micol Sarfatti sul Corriere. Con gli anni in effetti lo spartiacque tra il modo di vestire di destra e sinistra è diventato sempre più labile, passando gradualmente dalla tipologia di capi alla fascia di prezzo dei suddetti: se per Daniela Santanchè una collezione di Birkin non è mai stata un problema perché non collide in alcun modo con lo stile di vita che ci aspetteremmo dalla destra, i cardigan in cashmere di Fausto Bertinotti erano un po’ troppo pregiati per un uomo di sinistra, così come la passione di D'Alema per le barche a vela e le vacanze in yacht di Renzi. L'opinione pubblica sembra aspettarsi le stesse cose da un Calenda e da un De Magistris, sebbene sotto il vasto ombrello della "sinistra" i due si posizionino agli estremi, perché chiunque abbia l'ardire di parlare di uguaglianza e diritti deve obbligatoriamente cospargersi il capo di ceneri e abbracciare la frugalità: sembrerebbe l'unico modo per sembrare credibile agli occhi degli altri. 

Commentando i recenti accadimenti Andrea Batilla scrive su Domani«L’errore fondamentale di Boldrini sta nella retorica, tutta di una sinistra a cui i francesi hanno dato il nome di "gauche caviar", di avvicinare il lusso, l’eccesso, la visibilità e l’apparente sperpero a qualcosa di moralmente indebito di ingiusto di riprovevole. Il disamore verso il lusso e la sua ostentazione ha due radici storiche. la prima è la teoria del feticismo delle merci di Marx e la seconda è il cattolicesimo.» In effetti, la sinistra e la chiesa hanno una cosa in comuna, la predicazione di quella morigeratezza che loro stessi fanno fatica a mantenere, e da questa incoerenza di fondo, dalla fallibilità umana di fronte alla grandezza degli ideali, l’origine di un dilemma, vecchio come il mondo ma sempre attuale. Perché, se Laura Boldrini - che, ricordiamolo, percepisce uno stipendio di 14 mila euro mensili - volesse comprarsi una borsa di Louis Vuitton per Natale, non sarebbe di certo un problema di Stato e, francamente, non le impedirebbe neanche di parlare di uguaglianza su La7.