Quando i nomi d'arte dei sex worker incontrano i brand di lusso
La causa di maison Dior ai danni di un volto noto di Only Fans
08 Novembre 2022
Qual è il legame tra maison di lusso e industria del porno? E soprattutto, cosa spingerebbe mai gli illustri e indaffarati avvocati di casa Dior a sporgere querela ai danni di un volto noto di Only Fans? La risposta è molto più semplice e intuitiva di quanto possiate immaginare: un nome d’arte. É il caso di Gigi Dior, l'auto proclamata “super milf” del social per adulti, l’ultima di una lunga serie di sex workers che hanno tratto ispirazione dall’Haute Couture per presentarsi al pubblico: Frank Versace, Sofia Prada, Drew Valentino e Chanel Preston, oltre a, in ambito musicale, Gucci Mane o Aaron Cartier. A cui si aggiungono esempi nostrani come il porno attore Christian Dior e il rapper Bello Figo - originariamente noto come Bello Figo Gucci, prima che l’omonimo marchio lo spingesse ad accorciarlo a colpi di querela. Una tradizione decennale che porta artisti e lavoratori del sesso ad assumere soprannomi "di lusso", sia in senso ironico e dissacrante, sia per - come sottolinea Daniel Rodgers su Dazed - sfuggire all'emarginazione tramite la sublimazione di un prestigio solitamente riservato alla borghesia.
Evidentemente alla maison fondata da Christian Dior non sono bastati i 75 anni di storia per sviluppare una sana dose di ironia, tanto che i legali del brand hanno esortato Gigi Dior ad abbandonare il nome d'arte con effetto immediato. «Questo è ridicolo, il mio nome non ha nulla a che fare con l'alta moda e la parte divertente è quello che faccio di solito consiste nel non indossare affatto vestiti» ha detto ribattuto Gigi. L'attrice e modella ha registrato ufficialmente il suo nome a settembre, ma ora ha tempo fino al 17 novembre per presentare una risposta scritta agli avvocati del marchio, i quali sostengono che il suo pseudonimo stia danneggiando la reputazione di Christian Dior: una "diluizione per sfocatura e diluizione per appannamento” si legge nella dichiarazione. Eppure, prima che Maria Grazia Chiuri ne prendesse le redini, rendendola il simbolo di una femminilità eterea, inarrivabile e francamente noiosa, il brand si è più volto ispirato al mondo del sesso, quando John Galliano vestita i panni di direttore artistico e le sensualità degli anni 2000 ci rendeva molto meno puritani. La moda di per sé è incline alla pornografia: basta pensare alla sexiness esplicita delle campagne di Tom Ford per Gucci, agli anni in cui la star del burlesque Dita Von Teese era la musa di Jean Paul Gaultier, alle recenti collaborazioni di Pornhub con Shayne Oliver e Ludovic de Saint Sernin o alle apparizioni in prima fila di Chloe Cherry, mentre alla sfilata di Namilia di Nan Li ed Emilia Pfohl nel 2020 le tre attrici di Pornhub, Asa Akira, Marica Hase e Jade Kush, hanno sfilato in un manifesto di rivendicazione femminista.
Sicuramente il discorso dei trademark è una materia complessa e fondamentale per la costruzione identitaria di un brand, tanto da rimpinguare le tasche dei legali, ma l'accanimento verso una sex worker che su instagram conta solo poche migliaia di follower è la prova di uno stigma che ancora oggi circonda i lavoratori del porno. Oltre alla dimostrazione di come i marchi di lusso vogliano spesso circondarsi di un'aurea di intoccabilità, dimenticando persino una parte del proprio passato, in cui le collazioni erano meno inarrivabili ma sicuramente più interessanti.