Come i brand possono sfruttare la febbre per la moda d'archivio
Le prospettive di un mercato che cresce
06 Ottobre 2022
Anni di nuove consapevolezze ambientali hanno portato i brand a riscoprire il proprio heritage e a trasporlo in chiave contemporanea e la Gen Z a concretizzare la nostalgia per epoche mai vissute in un'innata passione per il vintage, oggi la febbre per i capi d'archivio non accenna a scemare. Lo dimostra uno studio realizzato da BCG e Vestiaire Collective che rivela come il mercato della moda e del lusso di seconda mano sia triplicato dal 2020 e che il valore stimato della rivendita oscilla tra i 100 e i 120 miliardi di dollari in tutto il mondo, ossia più del triplo rispetto al 2020. Il mercato del second hand rappresenta già dal 3% al 5% del settore complessivo dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori e potrebbe crescere fino al 40%, ma, sebbene gli articoli di seconda mano costituiscano ancora solo circa un quarto del guardaroba degli acquirenti di pezzi pre-loved, si prevede che nel 2023 costituiranno il 27% degli armadi. A guidare la tendenza ci sono i consumatori della Gen Z, i più propensi ad acquistare (31%) e vendere (44%), seguiti a ruota dai millennial. Ma quali sono i principali motivi che spingono i giovanissimi verso il secondhand e cosa comporta questa accelerazione del mercato di seconda meno per i brand e il retail?
«È ormai certo che i consumatori hanno abbracciato la seconda mano e stanno cambiando il modo in cui acquistano e vendono i loro vestiti. Per i marchi, entrare in questo mercato costituisce un’enorme opportunità per attrarre clienti nuovi e già esistenti, motivati da sostenibilità, convenienza ed esclusività» ha dichiarato Sarah Willersdorf, Responsabile Globale del settore lusso presso BCG e coautrice del rapporto. La sostenibilità è una forza trainante sempre più importante, sebbene l’economicità sia stata citata ad oggi come la motivazione principale per l’acquisto di articoli di seconda mano da oltre la metà degli intervistati. Si aggiungono la varietà del catalogo, il “brivido della caccia al tesoro” e l’opportunità di negoziare con i venditori. Il 60% di coloro che vendono articoli di seconda mano vuole ripulire il proprio guardaroba per fare spazio, lo stesso numero ha anche dichiarato di essere motivato a recuperare il valore residuo del proprio articolo e spenderlo per acquistare articoli di seconda mano (39%), di prima mano (20%), o altro (39%).
Quasi il 60% dei consumatori ha scoperto un marchio o lo ha acquistato per la prima volta di seconda mano: basta anche solo questo a dimostrare l’enorme potenziale del mercato della rivendita per i brand. Il rapporto delinea tre modelli che i brand o i rivenditori dovrebbero prendere in considerazione per entrare nel mercato dell’usato. Rivendendo le proprie collezioni online e nei negozi, le aziende possono mantenere il controllo dei prezzi, ottenendo comunque un doppio margine di guadagno sullo stesso articolo. Un approccio che tuttavia può richiedere un notevole dispendio di risorse e può comportare una portata limitata per i clienti, oltre ai rischi legati a volumi e scorte. Una partnership con una piattaforma di vendita specializzata può essere una soluzione reciprocamente vantaggiosa: la piattaforma gestisce la logistica, l’elaborazione dei pagamenti e la convalida dei prodotti, ottenendo al contempo più traffico, visibilità e credibilità grazie al rivenditore. Da parte sua, il marchio può rivendere i propri prodotti, aumentare la propria riconoscibilità e acquisire nuovi clienti a basso costo senza dover gestire direttamente le operazioni di rivendita. Un'altra opzione per i brand potrebbe essere quella di esplorare la rivendita senza fare un investimento significativo o prendere un impegno a lungo termine tramite l’assegnazione a un partner di vendita al dettaglio di uno spazio di dimensioni ridotte all’interno di negozi e lo sviluppo di programmi di sconti e incentivi per vendere abbigliamento di seconda mano ai rivenditori. Queste soluzioni più leggere contribuiscono ad aumentare l’affluenza di pubblico e permettono a tutte le parti coinvolte di partecipare all’economia circolare, riducendo al contempo i rischi legati alla contraffazione.